Aziende edili, appartamenti, ville, auto e anche “Irak”, un purosangue da corsa che col suo splendido manto rappresentava un vero e proprio tesoro in carne ed ossa. Era questo l’impero delle famiglie Madonia e Di Trapani; beni da oltre 22 milioni di euro sui quali si è abbattuta la “mannaia” della magistratura, che stamani ne ha disposto il sequestro eseguito dai carabinieri del Ros.
I beni sono nei comuni di Cinisi, Carini e Isola delle Femmine e sono riconducibili, oltre che ai fratelli Antonino, Giuseppe e Salvatore Madonia, figli dell’ex capomandamento Francesco Madonia morto in cella tre anni fa; il coNicolò Di Trapani, e agli imprenditori Vincenzo Sgadari e Massimiliano Lo Verde già arrestati in passato per associazione mafiosa e per essere stati prestanome dei boss.
Il sequestro giunge nell’ambito delle indagini che hanno accertato la travagliata gestione del mandamento di Resuttana, passato in pochi anni sotto il controllo di Giovanni Bonanno, Diego Di Trapani e Salvatore Genova. Tutti e tre sponsorizzati da Antonino Madonia, e sui quali esisteva il placet del “barone” Salvatore Lo Piccolo.
I Madonia e i Di Trapani negli anni 80 avevano contribuito in maniera determinante all’ascesa dei corleonesi di Totò Riina e Bernardo Provenzano ai vertici di Cosa nostra, al punto che tra i loro affiliati sono stati individuati gli autori di omicidi del calibro di Pio La Torre, del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, dell’imprenditore Libero Grassi e di Antonio Cassarà, e del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del collaboratore di giustizia Santino, sciolto nell’acido dopo un sequestro durato più di due anni.
Nonostante fossero detenuti in regime di 41bis, Antonino, Giuseppe e Salvatore Madonia, e il cognato di quest’ultimo, Nicolò Di Trapani, mantenevano attivo il controllo sul mandamento, riuscendo a gestirlo da dietro le sbarre grazie all’intercessione dei parenti all’esterno.
Particolarmente interessante anche la figura di Vincenzo Sgadari. Intestatario di complessi residenziali, fabbricati rurali, terreni magazzini e locali commerciali, l’imprenditore era il prestanome dei boss che avrebbe fatto da mediatore tra Giovanni Bonanno e Francesco Di Pace, nel momento in cui tra i due sorse una controversia relativa alla gestione delle casse della famiglia di Resuttana. Sgadari sarebbe stato inoltre la “longa manus” dei Lo Piccolo, che attraverso di lui comunicavano le proprie direttive per il controllo del loro “feudo”.