PALERMO – Giorgia Meloni scalda la platea di Piazza Politeama. Ad appena tre settimane dall’apertura della campagna elettorale a Catania, Giorgia Meloni cambia pelle e veste i panni della premier e al contempo della mediatrice che porta la pace nel centrodestra siciliano reduce da strappi dolorosi. La kermesse palermitana è la raffigurazione plastica di questo processo. La manifestazione la apre il candidato alla presidenza Renato Schifani mentre il governatore Nello Musumeci non sale sul palco, sta in platea assiste al comizio sorridendo compiaciuto e applaudendo spesso e volentieri. E non potrebbe essere diversamente. Per capire il perché basta ascoltare con attenzione le parole pronunciate da Schifani e Meloni. “In 5 anni di governo Musumeci, con riserbo e in silenzio ho dato una mano per la nostra terra. Non avrei mai accettato questo ruolo di candidato alla presidenza della Regione siciliana se non avessi contezza che questa scelta su di me non veniva condivisa da Nello Musumeci, questo lo posso garantire. Saremo in continuità e sarà una staffetta con Musumeci che ha affrontato la pandemia, ha aumentato il Pil, ha introdotto l’ìnsularità in Costituzione”, dice l’ex presidente del Senato tracciando una linea di continuità con l’operato del suo predecessore.
Al quale dice: “Non accetterò compressi rispondo a Nello”. Insomma, uno scambio di amorosi sensi necessario per l’unità del centrodestra. E da federatore, anzi da federatrice, si muove anche e soprattutto Giorgia Meloni. “Il presidente Renato Schifani è l’unico candidato del centrodestra alla presidenza della Regione”, scandisce la leader dei patrioti dal palco, imponendo il suo sigillo notarile e lanciando un messaggio a chi lo vorrà intendere. La piazza piena di bandiere con la fiamma tricolore risponde. In prossimità del palco sono riuniti i capannelli di svariati fratelli d’Italia che alla vittoria vorrebbero porgere la chioma (nutrita la pattuglia di patrioti musumeciani). Il vice sindaco Carolina Varchi (che fa gli onori di casa dal palco), il coordinatore regionale Giampiero Cannella, Raoul Russo, l’eurodeputato Giuseppe Milazzo, Enrico Trantino, la deputata Giusi Savarino, gli assessori Manlio Messina, Ruggero Razza, Toto Cordaro e Alessandro Aricò (che fa il suo ingresso trionfale in Piazza Politeama seguito da uno stuolo di sostenitori che per l’occasione si sono fatti confezionare una bandiera di FdI con il nome del deputato). Dietro le quinte c’è anche Guido Lo Porto, ex presidente dell’Ars e volto storico del Movimento Sociale Italiano. “Meloni è la sorpresa di questa campagna elettorale, ma la vera sorpresa deve ancora arrivare si troverà dentro l’uovo di Pasqua in questo caso dentro le urne”, dice compiaciuto. Meloni, nel frattempo, continua a fare da trait d’union tre il vecchio e il nuovo corso. “Renato Schifani è una persona di grande esperienza e capacità per continuare il lavoro fatto da Nello Musumeci. Sono stata fiera, sostenendo il governo, di vedere una Sicilia, che eravamo abituati a conoscere per i dati negativi, che in questi ultimi cinque anni su diversi temi si è trovata ai primi posti in classifica nell’apertura dei cantieri, nella lotta al Covid, nel sostegno alle attività produttive”, dice prima di affrontare temi di carattere nazionale ma con un piglio diverso dal solito. Prove tecniche di premiership? Molto probabile. Meloni attacca dem e pentastellati ma soprattutto affronta temi legati allo sviluppo e alla crescita economica. (lasciando ad altri attori il verbo populista) intervallandoli sempre alla parola che pronuncia più spesso: nazione. “Serve un governo che ponga al tavolo gli interessi della nazione”, tuona. Ogni tanto inciampa e casca nella sindrome di calimero della destra italiana (con tanto di polemica sui radical chic e sull’egemonia culturale della sinistra). Non mancano le contestazioni, qualcuno da pubblico rumoreggia e la leader di FdI dribbla rilanciando con ironia. ”C’è qualcuno che strilla, lasciali fare, tanto io urlo di più, sono cintura nera di urla”. Il pubblico le dà manforte scandendo “Giorgia, Giorgia”. Una Meloni di lotta e di governo che chiude la kermesse sulle note di Rino Gaetano. “Può nascere un fiore nel nostro giardino” un verso perfetto per il centrodestra siciliano.