CATANIA – Si fa preso a parlare di unità del centrodestra. Il dibattito più atteso della Festa regionale dei meloniani diventa un ring all’insegna delle scazzottate verbali tra Gianfranco Miccichè e Marco Falcone. Il presidente Schifani fa appena in tempo a lasciare la kermesse senza incrociare Miccichè dopo avere lanciato un monito chiaro: “Non sarà mai io ad alzare i toni”. E in effetti dieci minuti dopo ci pensa il coordinatore azzurro che a tambur battente racconta la suu versione dei fatti dopo la spaccatura di Forza Italia. “Ho chiesto al presidente Schifani se mi poteva spiegare perché il venerdì si è rivolto a me in una determinata maniera, non mi merito il devo tutto a Miccichè. Poi ha cambiato idea mi chiedo cosa sia successo in questi due giorni, quando improvvisamente mi sono trasformato in un mostro”, ruggisce.
“Ma non si devono dire bugie, non ho fatto un accordo al quale sarei venuto meno Non ho votato contro Galvagno. Avrei votato contro Galvagno se fosse servito a fare slittare l’elezione a Galvagno, ma già c’era l’accordo con Cateno De Luca”, chiarisce. “La mattina sono andato a trovare il mio amico Vitrano e sono andato a spiegare che a prima votazione non lo avremmo votato, ma dopo l’accordo con Cateno De Luca io ho votato Galvagno. Ma è stata la scusa formale e falsa per cui a Miccichè non bisognava dare nulla”, sbotta Miccichè.
“Andiamo al vicepresidente, non ho votato Lantieri, mia grande amica. C’era una vago accordo, doveva essere Michele Mancuso, ma lo hanno chiamato dalla potente lobby che gestisce tutto, ma avrebbe dovuto rinnegare Miccichè. E lui li ha mandati a quel paese”, spiega. Il clima in sala si surriscalda, la platea tricolore rumoreggia e Miccichè accende la miccia che porterà l’assessore Falcone ad esplodere poco dopo. “Se mi devono buttare fuori ci divertiremo dopo, ma poi ci divertiremo dopo. Al mio gruppo non è stato consegnato neanche un segretario commissione, continuano ad attaccarmi in maniera violenta”, dice Miccichè che ricorda agli alleati che è il rappresentante legale di Forza Italia. “Il presidente della Regione, faccio un appello: ma cu tu fa ffari? Che guadagno può avere? Non credo che mi butteranno fuori da Forza Italia? Che con Micci si prendeva il 18% e con gli altri il 5%? Il risultato matematico, ricordo a Falcone che quando io presi Tamajo ci fu il tentativo di sfiduciarmi. Poi mi fottono sempre, lavoro con Berlusconi da 40 anni e ci vuole il fatturato migliore, i voti. Tamajo, go rischiato di restare fuori io, qual è il guadagno di Schifani? Che guadagno ne ha? Non capisco”, tuona non senza lanciare una frecciatina a Musumeci.
“Con lui non si poteva stare, aveva assessori che combinavano disastri atomici”. Poi goccia che fa traboccare il vaso. “Con Falcone non voglio parlare è uno stronzo”, dice scherzoso. A questo punto Falcone interviene e risponde per le rime tra gli applausi scrocianti di un pubblico che non ha dubbi da che parte schierarsi. “Miccichè deve mettersi d’accordo con se stesso, prima ha detto che non si riconosceva in questa maggioranza ai giornali un’ora prima del voto in aula per la Presidenza dell’Ars: sei tu a dire bugie: sono cinque anni che rompi le scatole”, dice un adiratissimo Falcone. Fino all’invito ad andare “a casa”. Un siparietto sulla falsa riga del “che fai mi cacci” del Pdl del tempo che fu: con Falcone che rinfaccia a Miccichè di avere incassato nomine e altro a Musumeci che criticava e Miccichè che minaccia di volere andare via. La tensione sale e il coordinatore cambia idea (grazie all’intervento del presidente Galvagno). Pochi minuti di panico prima di riprendere il dibattito sull’unità del centrodestra. Cala il sipario, la ferita dentro Forza Italia si fa più profonda.