PALERMO – E alla fine capisci quanto gli vuoi bene, quando Fabrizio si fa una corsa con la gamba penzoloni, vede la palla spiovere, con l’arbitro che sta fischiando. Un mediocre si comporterebbe con maggiore assennatezza. Ma Fabrizio è un fuoriclasse, in lui convivono una rete di calcio smossa dal goooool e l’istinto di un ragazzino di dodici anni che corre su un campetto del Sud, di terra e sassi. Così tenta il tiro al volo, centrando la curva, mentre Marchetti già si segnava, perduto. E si accascia sull’erba con i polmoni sfiancati. Palermo- Lazio due a due. Lo stadio è un’unica voce d’amore. Un pareggio agrodolce che vale come una vittoria. Ci dice che la navicella rosanero è malmessa e combattiva. All’inizio della storia non pareva proprio.
Anteprima del ‘Barbera’. Hai tirato fuori perfino il cappellino rosanero spettatore dei palpiti di Trapani, in un tempo lontano. E pazienza se accanto a te ci sono quattro laziali in divisa sociale che commentano romanamente: “Ao, ao”. E sembrano sicurissimi del fatto loro. Possiamo dargli torto? Verso il quarto minuto annoti in un taccuino immaginario: ora segnano. E segnano, tanto informe e sconclusionato è il Palermo del primo scorcio. Aronica si addormenta placido su un passaggio a candelotto. Ujkani si perde nel consueto rovello amletico: mi fischiano di più se esco e prendo gol o se resto sulla linea e prendo gol? Si piazza, perciò, a metà strada. Floccari il rapace allunga testa e traiettoria. Uno a zero. Scambio frenetico di sms con l’amico che palpita costretto davanti all tv. “Finisce a ridere”.
Gasperini in panca annaspa. I suoi ragazzi si sciolgono in un ammasso budiniforme senza criterio. E qui il signor Pektovic, elogiato nocchiero della corazzata avversa, propriamente la scafazza. Lascia che i suoi giochicchino come il gatto col topo predestinato al sacrificio. Nella ripresa addirittura piazza una singolare difesa a cinque. Miccoli decide che è troppo perdere contro un plotone di volenterosi in cui brilla, unica, la gemma del talento di Hernanes.
Il Capitano arretra, suggerisce, tira, incalza, sprona. Ci manca solo che porti l’acqua e che massaggi gli arti malconci dei compagni che lo seguono a razzo dietro il vessillo metaforicamente issato. Il Palermo finalmente balza fuori dalle retrovie col pugnale fra i denti. Lo sciagurato Aronica viene sostituito da Munoz. Kurtic e Arevalo pressano. Fabrizio si danna. Paolino Dybala si scrolla dalle ali il peso della gioventù. Accade tutto in un magnifico minuto. Filtra un pallone anonimo. Chi c’è sul secondo palo? La pelata di Arevalo che sbatte di piede contro l’assist e segna. Poi tiro ai passeri. Miccolinho addomestica la palla con una dolcezza da rimatore. Dybala appoggia. Due a uno.
La gente innamorata sugli spalti si guarda nelle palle degli occhi e non ci crede. Possibile? Il “Barbera” raddoppia il fiato, ora che intravvede un traguardo assurdo. Purtroppo dall’altra trincea sbuca un signor centravanti, quel Floccari che sarebbe una benedizione alla corte di Gasperini. Rigore sacrosanto. Quasi quasi Ujkani la para. Sarebbe stato troppo.
Si galoppa e si combatte. All’ultimo respiro, Fabrizio ha l’occasione d’oro per mandare in orbita i cuori dei suoi in tempesta, sciancati da tante disavventure e sempre generosi. Spreca da campione nel modo che sappiamo. Però sappiamo pure che si può sperare, finché c’è Fabrizio con noi. Lui è come il domani: non muore mai.