Microspia al Palazzo di Giustizia| Trapani, allarme sicurezza in Procura - Live Sicilia

Microspia al Palazzo di Giustizia| Trapani, allarme sicurezza in Procura

Il procuratore di Trapani, Marcello Viola

Era stata piazzata accanto alla porta di ingresso riservata ai magistrati. Forse un gesto dimostrativo. E non è tutto: nuove lettere di minacce e scritte intimidatorie contro il procuratore Marcello Viola e il sostituto Andrea Tarondo.

LUNGA SCIA DI EPISODI
di
4 min di lettura

PALERMO – Una nuova e inquietante scia di intimidazioni. Alla Procura di Trapani il clima è sempre più teso. Ancora una volta, bersaglio sono il procuratore Marcello Viola e il pubblico ministero Andrea Tarondo. E non solo, tutto l’ufficio sembra essere finito nel mirino di qualcuno. Qualcuno bene informato e pronto a tutto. Persino a correre il rischio di essere scoperto pur di recapitare il suo messaggio.

L’ultimo episodio è di dieci giorni fa. Un carabiniere addetto alla sicurezza ha trovato una microspia al Palazzo di Giustizia. O meglio, una parte di microspia. In particolare, il piccolo congegno che serve a consente di ascoltare le conversazioni. La microspia, che non è dello stesso modello in dotazione alle forze dell’ordine, così come è stata trovata non poteva funzionare visto che mancavano i circuiti per la trasmissione del segnale audio. Ecco perché potrebbe essersi trattato di un gesto dimostrativo.

La cimice è stata piazzata accanto alla porta di ingresso del Palazzo. Non quella principale, ma quella posta sul retro della struttura e riservata per ragioni di sicurezza al passaggio del procuratore e degli altri magistrati. Per raggiungerla bisogna attraversare un’area chiusa al pubblico. La zona è sorvegliata dalle telecamere. Che, però, non si saprà mai se siano riuscite a immortalare il momento in cui la microspia è stata messa accanto alla porta. La registrazione, infatti, avviene a ciclo continuo. Dopo un po’ le immagini vengono coperte da altre immagini.

La vicenda della microspia è solo l’ultimo di una catena di episodi che nei mesi estivi ha mandato in fibrillazione la Procura di Trapani. Ad agosto una busta è stata recapitata all’ufficio inquirente. Era indirizzata ad un sostituto procuratore il cui nome, però, non esiste fra quelli in servizio a Trapani. Dentro c’era una lettera con minacce di morte e, soprattutto, un proiettile calibro 9.

Non è tutto. A luglio qualcuno ha scelto le pareti di un ascensore e quelle di un centro commerciale per scrivere i suoi messaggi intimidatori. L’ascensore era quello della casa palermitana del procuratore. “Viola devi morire”, c’era scritto. L’altro messaggio era indirizzato ad uno dei sostituti più impegnati nelle inchieste antimafia: “Tarondo la tua ora è arrivata”. Lo scorso ottobre qualcuno si era intrufolato nella macchina del pm antimafia, titolare, tra gli altri, del processo al senatore Antonio D’Alì. Gli agenti di scorta notarono il finestrino dell’auto abbassato mentre la vettura era ferma nel parcheggio del Palazzo di Giustizia. Nell’abitacolo c’erano alcuni fili scoperti sotto il cruscotto. Forse qualcuno voleva piazzare una microspia oppure lo aveva già fatto ed era andata a riprendersela? E’ inevitabile che l’episodio di allora venga associato a quello di dieci giorni fa.

Insomma, da mesi i magistrati trapanesi sono finiti nel mirino. A fine dicembre scorso, Viola aveva ricevuto una lunga lettera spedita alla sua segreteria. A scrivere non era stato il solito anonimo, ma qualcuno “bene informato” che non si limitava a minacciare di morte il magistrato, ma lo metteva in guardia. Gli faceva sapere che “è arrivata qualcosa per lei”. Parole che ricordano l’episodio del tritolo che Paolo Borsellino sapeva essere giunto a Palermo per farlo saltare in aria. Nella lettera a Viola c’erano chiari riferimenti a delicate indagini. I grandi sequestri, primo fra tutti quello ai danni del patron della Valtur, Carmelo Patti, e l’inchiesta sull’intrigo della chiesa trapanese che ha portato alla rimozione del vescovo monsignor Francesco Miccichè quando si è scoperto l’ammanco di denaro in due fondazioni gestite dalla curia. Da alcuni giorni sappiamo che don Ninni Treppiedi, l’uomo che dello scandalo sarebbe il protagonista, ha iniziato a parlare con i magistrati dell’intreccio perverso fra alte sfere religiose, politica e massoneria. Un intreccio con un possibile grande regista: Matteo Messina Denaro.

Erano i giorni in cui una missiva, per certi aspetti simile a quella indirizzata a Viola, era stata spedita pure a Nino Di Matteo, sostituto della Direzione distrettuale antimafia di Palermo e pm dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. Pochi mesi prima, nell’aprile 2012, una macchina si era incollata all’auto di Viola per diversi chilometri in autostrada. A bordo c’erano due imprenditori edili. Si erano giustificati dicendo che avevano solo fretta di raggiungere l’aeroporto. Peccato, però, che percorrevano la strada che non conduce all’aerostazione. A quel punto avevano spiegato che prima avrebbero dovuto fare tappa in un ufficio pubblico trapanese. La versione non convinceva allora e non convince adesso.

Una cosa è certa, l’allerta è massima. Come il livello della sorveglianza per proteggere Viola, Tarondo e i magistrati della Procura trapanese.


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI