CALTANISSETTA – Uno sconto di pena per il principale imputato, l’ex leader di Confindustria Sicilia Antonello Montante, e la conferma delle condanne inflitte in primo grado agli altri quattro, il colonnello della guardia di finanza Gianfranco Ardizzone, il sostituto commissario Marco De Angelis, il capo della security di Confindustria Diego Di Simone e il questore Andrea Grassi. Sono queste le richieste della procura Generale di Caltanissetta al processo d’appello sul cosiddetto “sistema Montante”, che si celebra con rito abbreviato a porte chiuse nell’aula bunker del carcere Malaspina di Caltanissetta, dinanzi alla Corte presieduta da Andreina Occhipinti.
La requisitoria
Si è chiusa da pochi minuti la requisitoria di uno dei processi più seguiti degli ultimi anni, nel distretto di Caltanissetta. Per una volta a finire alla sbarra non sono i mammasantissima dei clan di Gela o di Cosa nostra del Vallone, né gli storici pezzi da Novanta della Cupola di Riina e Provenzano – condannati proprio a Caltanissetta per le stragi del ’92 – ma chi la mafia la combatteva, ufficialmente, fino a pochissimi anni fa, come per l’appunto Montante, divenuto negli anni una sorta di paladino dell’antimafia. Per lui, che in primo grado aveva preso 14 anni, il pg Giuseppe Lombardo ha chiesto di ridurre la pena a 11 anni e 4 mesi. Lo stesso procuratore generale aveva chiesto, in precedenza, la conferma delle condanne emesse in primo grado per gli altri tre quattro imputati: 3 anni per Ardizzone, 4 anni per De Angelis, 6 anni per Di Simone e 1 anno e 4 mesi per Grassi. I cinque rispondono, a vario titolo, di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione, favoreggiamento, rivelazione di segreto d’ufficio e accesso abusivo al sistema informatico.
Montante non era presente in aula. I ricorsi sono stati presentati dalle difese. Montante è assistito dagli avvocati Giuseppe Panepinto e Carlo Taormina. La Pg ha chiesto di respingere i ricorsi, pur ritenendo che nel caso di Montante la pena vada corretta al ribasso. Del resto già in primo grado il pm aveva chiesto per lui una pena più bassa rispetto a quanto fu poi deciso dal giudice.
Nel corso della requisitoria, il Pg ha trattato anche l’aspetto forse più significativo, per l’opinione pubblica, di questo processo, quantomeno sul piano storico e sociale, ovvero l’interrogativo di fondo del processo – lo ha detto testualmente: “E’ stata vera antimafia o antimafia di facciata?” – ma è andato oltre, puntualizzando che “non spetta a questo processo rispondere”. La giustizia penale, del resto, serve a dichiarare sussistenti, o meno, responsabilità in relazione a fatti specifici. In questo caso a Montante si contesta di essere riuscito, secondo l’accusa, servendosi di “accessi abusivi al sistema informatico”, a “ottenere mediante sistematiche azioni di corruzione, notizie segrete” su “indagini” o sul contenuto della banche dati della polizia”. In questo modo, secondo quanto scritto nella sentenza di primo grado dal Gup Graziella Luparello – sentenza che proprio in questo giudizio viene discussa in appello, poiché impugnata dalle difese – sarebbe riuscito a creare potere e utilizzarlo “negli Enti pubblici e privati quale bacino per collocare i clientes” come “moneta di pagamento per i favori illeciti che questi gli rendevano”. Nelle prossime udienze la parola passerà ai legali delle parti civili, poi alle difese. Si torna in aula il 21 gennaio. Il verdetto d’appello dovrebbe arrivare entro la primavera.