PALERMO – Toni polemici durante l’audizione in Commissione parlamentare antimafia. L’ex comandante del Ros, Mario Mori, e il suo braccio destro Giuseppe De Donno sono tornati a parlare dell’inchiesta del Ros su mafia e appalti, un’indagine che, secondo la loro ricostruzione, avrebbe subito ostacoli significativi anche all’interno della magistratura palermitana all’inizio degli anni Novanta.
Davanti alla Commissione, Mori e De Donno hanno riproposto la linea critica già espressa durante l’audizione del 16 aprile, con qualche passaggio dai toni accesi. La tesi centrale sostenuta dai due ex ufficiali accredita l’idea che il dossier su mafia e appalti, sul quale nel 1992 aveva concentrato il suo interesse Paolo Borsellino, rappresenti il principale movente dell’attentato di via d’Amelio.
Mori accusa la procura di Giammanco
Oggi, Mori ha alzato il tono della sua audizione, sostenendo con forza che quel dossier fu fortemente ostacolato in quella fase dalla Procura di Palermo, allora guidata da Pietro Giammanco.
Secondo Mori, l’allora procuratore non avrebbe voluto dare il giusto peso al collegamento tra gli appalti e il sistema politico. “Si perdeva così di vista – ha osservato Mori – un’attività investigativa che allargava lo sguardo e avrebbe potuto ottenere altri risultati”.
Mori ha inoltre lamentato ulteriori “freni” provenienti dalla politica e un “tombale silenzio” calato su un’indagine che sarebbe stata oggetto di una vera e propria operazione di “smembramento” tra gli uffici giudiziari di Palermo, Catania e Caltanissetta.
L’obiettivo, secondo la sua prospettiva, sarebbe stato quello di evitare l’estensione dell’attività investigativa, per la quale lo stesso Giovanni Falcone ipotizzava una interconnessione con l’indagine milanese di Mani pulite.
Il dibattito in Commissione
Gli interventi di Mori e De Donno, che hanno seguito le tracce del loro libro “L’altra verità”, hanno suscitato diverse reazioni tra i membri della Commissione. Gianluca Cantalamessa (Lega) ha osservato che i due ufficiali, già assolti in tre procedimenti tra cui quello sulla cosiddetta “trattativa”, meriterebbero “rispetto e risarcimento”.
Di contro, Luigi Nave (M5s) ha accusato Mori e De Donno di aver raccontato “inesattezze e falsità” e di aver colto “mistificazioni in alcune affermazioni”. Nave ha chiesto di discutere i punti sollevati in un documento di 86 pagine presentato dai consiglieri del M5s, ma la presidente Chiara Colosimo ha replicato che il dossier è stato presentato all’ultimo momento e non c’è stato il tempo di valutarne il contenuto.
Un ulteriore momento di tensione si è verificato tra la presidente Colosimo e il consigliere del Pd Giuseppe Provenzano. La discussione è stata innescata dalle domande poste in precedenza da Walter Verini (Pd) e poi da Provenzano, che hanno chiesto a Mori se, oltre al filone mafia e appalti, dal suo osservatorio non avesse valutato quanto accadeva in quel periodo con le stragi del 1992, gli attentati del 1993 e i delitti che lanciavano un feroce attacco allo Stato.
Mori ha risposto che, in quanto investigatore “operativo”, poteva parlare delle indagini e non del “contesto politico” in cui quei fatti si collocavano.
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