Morte sul lavoro in un pozzetto a Letojanni, due condanne - Live Sicilia

Operaio ennese morì in un pozzetto a Letojanni, due condanne

C'è anche una terza condanna ma ai soli fini civilistici

NICOSIA (ENNA) – Salvatore Bongiovanni, piccolo imprenditore e saldatore, morì a 60 anni il 26 febbraio di dieci anni fa: un drammatico caso di morte sul lavoro. Ieri la Corte d’appello di Messina ha confermato le condanne a un anno e quattro mesi per omicidio colposo a carico dei committenti e della società appaltatrice dei lavori di sostituzione di un pozzetto a Letojanni, nel Messinese.

L’incidente avvenne in contrada Papale. Bongiovanni era un tecnico specializzato che aveva ricevuto incarico da una ditta appaltatrice dei lavori di manutenzione e riparazione della condotta acquedottistica dell’Alcantara.

La morte sul lavoro a Letojanni

La vittima stava sostituendo la saracinesca all’interno di un pozzetto, cioè l’organo di scarico. Costretto a scendere perché la vecchia saracinesca si sarebbe presentata priva del volantino e del perno che avrebbe consentito la manovra in sicurezza dall’esterno, Bongiovanni fu investito violentemente dall’acqua in pressione contenuta all’interno delle condotte poste a monte. Morì sul colpo.

Agli imputati era contestata l’omissione di adeguate misure di sicurezza, di non aver informato adeguatamente Bongiovanni e di non essersi accertati del completo svuotamento della colonna di acqua. In primo grado il Tribunale monocratico di Messina ha condannato due imputati, il responsabile del procedimento e il coordinatore della sicurezza, e ne ha assolto un terzo, l’ad della società committente.

La sentenza d’appello

In appello sono state impugnate le due condanne da parte dei difensori, e chiesta l’assoluzione del terzo imputato dalle parti civili e ai soli fini civili. E adesso la Corte ha confermato le condanne per i due imputati e ritenuto responsabile ai fini civilistici il terzo imputato, assolto penalmente in via definitiva.

La famiglia di Bongiovanni è assistita dagli avvocati Antonio Lo Bianco, Salvatore Grosso e Salvatore Timpanaro. La famiglia della vittima, in pratica, con l’ausilio di un consulente tecnico, cioè l’ingegnere Renato Savarese, fa sapere di aver dimostrato che la colonna d’acqua sarebbe stata “colpevolmente lasciata all’interno della conduttura a monte del pozzetto”.

E poi, “violentemente turbinando con una forza centrifuga, ancorché per una durata di minuti”, avrebbe “sbattuto la vittima contro le pareti interne del pozzetto”, uccidendolo.

I legali: “Una piaga sociale”

La Corte d’Appello ha condannato, infine, gli imputati anche all’immediato pagamento di una provvisionale ed al rimborso delle spese. “Gli incidenti sul lavoro – affermano i legali del collegio di parte civile – rappresentano una vera e propria piaga sociale, con gravi conseguenze non solo per i lavoratori coinvolti, ma anche per le loro famiglie e per il tessuto economico e sociale del Paese”.

“Nonostante le normative sempre più stringenti in materia di sicurezza – concludono – il numero di infortuni e morti sul lavoro continua a essere preoccupante, evidenziando la necessità di interventi urgenti e strutturali”.

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