CATANIA – Morirono soffocati nella stiva di un barcone. Quarantanove vite che meriterebbero di essere ricordate nome per nome. E invece di quei quarantanove migranti in cerca di una nuova patria e di speranza rimane l’immagine di quel container frigo arrivato al porto di Catania il 17 agosto 2015. La Siem Pilot soccorse l’imbarcazione trasformata in una tomba galleggiante in mezzo alle onde del canale di Sicilia. Una tragedia del mare, l’ennesima mattanza del Mediterraneo, che diventò ancora più famosa nel mondo per alcune immagini finite nel film documentario Fuocoammare di Gianfranco Rosi.
Ieri è stata vergata la parola condanna sui nomi dei cinque libici imputati per quello sbarco, per gli altri due è arrivata lo scorso anno la sentenza definitiva della Cassazione a 20 anni. La Corte d’Assise d’Appello di Catania ha accolto le richieste del pg Antonio Nicastro ed ha confermato la pena a 30 anni di reclusione inflitta in primo grado nei confronti di Jooma Laamami Tarek, Abdelkarim Alla F. Hamad, Beddat Isham, Abd Al Monssif Abd Arahman e Jarkess Mohannad. La Corte ha sancito il termine di 90 giorni per il deposito delle motivazioni
“Questa sentenza ci ha lasciato senza parole”, commenta l’avvocato Francesco Turrisi, che insieme ai penalisti Luigia Di Fede, Giorgio Terranova, Cinzia Pecoraro, Carmelo Speranza compone il collegio difensivo. “Aspettiamo le motivazioni per ricorrere in Cassazione, riteniamo che non vi sia alcuna prova ineluttabile che possa permettere di confermare una condanna a 30 anni per dei ragazzi che quegli omicidi non li hanno commessi. Noi difensori non ci fermeremo”, conclude Turrisi.