Non c’è gesto più politico dell’assenza. A prescindere dal fatto che il segno sia stato lanciato volontariamente o inconsapevolmente. Mentre il governo regionale cadeva, cadeva ancora, cadeva del tutto sotto i colpi del voto segreto, il presidente della Regione non era in Aula. Era altrove. A Roma, pare, per onorare impegni assunti tempo fa. Ma tant’è. La fotografia di quell’assenza, l’assenza di Nello Musumeci, dice molto di questo primo scorcio di legislatura.
Racconta, ad esempio, lo scollamento che esiste tra l’esecutivo e la sua maggioranza, “che non c’è” ripete spesso il governatore. Che non c‘è, ma dovrà esserci se si vogliono approvare le leggi, se davvero si vuole lasciare alla Sicilia qualche riforma. E insieme all’assenza del presidente, ieri, solo come esempio del caos, ecco il balletto tutto interno all’esecutivo: il governo propone – con conferma dell’assessore Cordaro – di sopprimere un articolo; un minuto dopo il governo – per bocca dell’assessore Marco Falcone – difende quell’articolo. E così, una volta bocciato l’articolo non sai nemmeno se il governo lì ha vinto o ha perso. Una “ics” nella schedina della legge di Stabilità.
La “ics” che è anche una incognita. L’incognita di una legislatura che non riesce a decollare e che difficilmente, in queste condizioni, riuscirà a farlo. Musumeci ha spinto il gioco del rispetto istituzionale fin oltre i confini dell’istituzione. L’idea che il “parlamento è sovrano”, in qualche modo certificata dalla decisione di recarsi altrove mentre incombeva la bufera, regge fino a un certo punto. Non certo fino al punto da considerare il governo regionale “immune” da ogni critica di fronte a un fallimento dei numeri, a un fallimento che è puramente politico. Il fallimento, finora, di un progetto.
Perché quella che verrà approvata, verrà comunque ricordata, come accade ogni anno per ogni governatore, come la “finanziaria del governo Musumeci” e non certo come la “finanziaria dell’Ars in cui manca la maggioranza”. L’assenza di Musumeci, così, va al di là di un semplice impedimento temporaneo o di un gesto di rispetto e fiducia per quell’Assemblea. Assemblea alla quale, nei giorni scorsi e non a caso, il governatore aveva riservato qualche “buffetto” (per usare un eufemismo) parlando di cortigiani e cospiratori.
Da questo clima, probabilmente, oggi Musumeci ha scelto di tirarsi fuori. Assente nel pieno della tempesta. Mentre il suo governo cadeva, cadeva ancora, cadeva del tutto contro i colpi delle opposizioni e dei franchi tiratori. Mentre crollavano i capisaldi che tenevano su la Finanziaria, venivano bocciate le poche idee che ne facevano parte – come la norma sul cosiddetto “modello Portogallo” – si lavorava a furbe soluzioni per rimandare soltanto l’effetto disastroso dei tagli, il governatore era altrove. A segnare, volontariamente o casualmente, una “rottura” che potrebbe essere un punto di rilancio o di “non ritorno”. E che era stata in qualche modo “preparata” dalla scelta di non intervenire in Aula, seppur presente, durante la seduta del giorno prima.
Musumeci e la sua maggioranza che non c’è, insomma, vanno ognuno per conto proprio. E a questo punto, però, non si può più fare finta di nulla. Il governo in carica è un governo politico, lo è nei suoi nomi e nella sua essenza. Ma è un governo che oggi sembra non avere un progetto, né una strada da percorrere.
Così, sono sostanzialmente tre oggi le strade politiche di fronte al governatore. La prima e la più improbabile: accogliere il richiamo alle dimissioni – che non arriveranno – da parte delle opposizioni; dimissioni che lo stesso Musumeci, in realtà, aveva ‘minacciato’ meno di un anno fa, di fronte a quelli che aveva definito i vecchi vizi della partitocrazia; la seconda, che è quella politicamente più difficile ma paradossalmente di maggior respiro: azzerare la sua coalizione e con essa il governo in carica, fondare la nuova stagione sulla propria figura e aprire a ‘chi ci sta’, compreso il Movimento 5 stelle che si è già offerto, portando in dote il rapporto sempre più fondamentale col governo nazionale; infine, c’è la terza strada: andare avanti così, come in questo primo anno e in queste prime due Finanziarie: ostaggio, il governo, di una maggioranza in Assemblea che non fa crescere nulla e che affonda quel poco che galleggia. Ed è proprio l’ipotesi del galleggiamento che nulla produce – magari col lenitivo di un mini-rimpasto – di fronte a un governatore che ha più volte ribadito la propria allergia ai ribaltoni, oggi l’ipotesi più probabile. E la più preoccupante per la Sicilia.