Nemmeno si parlano | Pd, la cena delle beffe - Live Sicilia

Nemmeno si parlano | Pd, la cena delle beffe

Lo stato comatoso di un partito in crisi. E in Sicilia...

Semaforo Russo
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4 min di lettura

“Primum vivere, deinde philosophari”, recita un’antica citazione latina (prima vivere, poi fare della filosofia). Ne potremmo coniare un’altra, probabilmente parimenti vera in determinate circostanze: “Primum loqui, postea agere”, prima parlarsi, interloquire, poi agire.

Mi è venuta in mente dopo un’intervista a Carlo Calenda a proposito della famosa cena, abortita, da lui organizzata con gli invitati speciali Matteo Renzi, Paolo Gentiloni e Marco Minniti. Lo scopo della cena, ha confessato Calenda, era quello di favorire una sorta di riconciliazione tra Renzi e Gentiloni, un “tornare a parlarsi”. Già, mi sono chiesto, come può immaginare il PD di ritornare a parlare con la sua gente se manco si parlano in casa tra loro?

Possiamo moltiplicare le noiosissime analisi sulla morte e la necessaria resurrezione della sinistra italiana, con annesse proposte giudicate risolutive da chi le avanza in maniera solitaria, ma se i giocatori principali della partita, e anche responsabili principali dell’odierna condizione comatosa del partito attorno a cui costruire una sinistra credibile, non si guardano in faccia, anzi, si guardano in cagnesco dove diamine si pretende di arrivare?

Qui non siamo alle conosciute nefaste logiche correntizie che hanno dilaniato il PD e continuano a lacerare un tessuto sempre più logoro, qui siamo agli scontri personali, alle faide tra sotto gruppi, fazioni, singoli. Invece, lo capirebbe un bambino, per ricominciare si deve mettere mano a secchio e straccio e ripulire, mettersi a nudo, possibilmente in pubblico e non in una cena privata, e decidere finalmente di presentarsi uniti nelle strade, nei circoli, ascoltando gli iscritti (quelli non irregimentati) pronti a sottoporsi al giudizio duro e severo di coloro che erano stati elettori convinti e simpatizzanti, milioni, e che adesso a ragion veduta o meno non lo sono più.

E se ciò significa per qualcuno che si sente insostituibile liberare il campo, pazienza, non basta cambiare nome e contenitore, magari occorre cambiare generali e colonnelli. Il vento di crisi che soffia sul governo giallo-verde, per il permanente duello tra Di Maio e Salvini e la irrealizzabilità finanziaria delle roboanti promesse elettorali, rischia di trovare i piddini in ordine sparso, chiusi in un infinito dibattito domestico e impreparati ad affrontare possibili inediti scenari.

Si persevera sul sentiero di guerra interna mentre il consenso si assottiglia ulteriormente (addirittura sotto il 17%). Per essere chiari fino in fondo, non scrivo così a cuor leggero o per sterile spirito polemico, al contrario, personalmente ritengo una questione assai seria per le sorti della nostra democrazia quanto sta accadendo dentro il PD e se oggi non abbiamo una temuta opposizione in Parlamento è pure a causa delle divisioni nell’ex partito del 40,8% alle europee del 2014. Sebbene da osservatore, senza tessere di partito in tasca, soffro parecchio nel constatare un’evidente incapacità di chi avrebbe dovuto rappresentare lo sposalizio tra le migliori culture del Paese (cattolico-democratica, socialista, liberale e ambientalista) a uscire dal pantano delle ripicche e degli odii reciproci per rivolgersi, con idee, valori e progetti, non con richiami ad una vacua appartenenza di tipo ideologico, alla vasta platea dei cittadini che si sono convertiti, obtorto collo, ai populismi di destra o all’astensionismo.

E in Sicilia? Mi verrebbe da domandare: Antonello Cracolici, Giuseppe Lupo, Davide Faraone, lo stesso Leoluca Orlando e altri importanti dirigenti dem, si parlano? O si limitano a lanciare iniziative di parte? In verità Cracolici adesso lo dice apertamente che continuando con le correnti fratricide il PD è destinato a estinguersi. Cominciano a riconoscerlo in tanti, non soltanto lui. Quando tre anni fa sollevai il tema ci fu un supponente per non dire arrogante silenzio tombale, l’umiltà nel mondo politico in generale è merce rarissima soprattutto se si è seduti in poltrone e poltroncine a gestire potere.

Le operazioni finalizzate alle sommatorie di voti, spero si sia compreso, riciclando vecchio personale politico andato a letto con chiunque, non serve per tamponare l’emorragia di consensi, nemmeno nella terra del clientelismo diffuso e dell’assalto opportunistico al carro del vincitore di turno (tale era il PD fino a pochi anni fa). Abbiamo letto nelle ultime ore una notizia da un lato potenzialmente positiva, avviare il percorso verso il congresso regionale siciliano (ma con le medesime logiche dello scontro, della supremazia delle tessere a pacchetti, dei giochi decisi a priori a tavolino?), dall’altro per niente rassicurante perché contestualmente si annuncia la nascita di una nuova corrente, si chiama “in Comune”. L’ennesima prova che dalle parti del PD, purtroppo, ancora molti mostrano di non avere capito nulla.

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