Nessuno vuole perdere la faccia, né, comprensibilmente, le elezioni. Ecco l’alchimia che blocca il centrodestra, nella delicatissima vertenza siciliana. Non vuole perdere Matteo Salvini che, nell’Isola, si gioca quello che resta di un capitale politico un tempo immenso. Non vuole perdere Giorgia Meloni, impegnata nella concorrenza interna con il capo della Lega. Ma non vuole perdere nemmeno Gianfranco Miccichè, con i suoi grattacapi in Forza Italia. E tutti i candidati che, come si suole dire, ‘ci hanno messo la ‘faccia’, nemmeno loro, vogliono perdere. Né compiere passi indietro. Così il filo si è aggrovigliato fino a diventare una matassa complicata da dipanare. Invece, per esempio a Palermo, quegli altri, dati come possibili perdenti – il centrosinistra – hanno già celebrato la convergenza sul nome di Franco Miceli nella corsa a sindaco. E, per quanto i problemi non manchino, trovano, adesso, il tempo per sbirciare le disavventure in casa degli avversari e sentirsi rincuorati in un sottofondo di popcorn masticati.
Effetto Salvini
Oggi, in Sicilia, si registrano le vibrazioni proprio dell”effetto Salvini’. Dalla riunione via zoom con i protagonisti siciliani della Lega è venuto fuori un diktat netto. O Palazzo d’Orleans, o Palazzo delle Aquile. Tradotto: i meloniani si scordino di potere ottenere Palermo e la Regione insieme, se si deve realizzare una sintesi. Casomai Forza Italia potrebbe essere della partita. E’ la linea tracciata da Francesco Scoma, candidato leghista per il dopo Orlando, in una intervista a LiveSicilia.it: “La Lega stringa un accordo con Forza Italia. Un patto di prospettiva per il bene comune, in cui discutere dei contenuti e degli strumenti, mettendo insieme, appunto, per una sintesi, il Comune di Palermo, la Regione e la Presidenza dell’Ars. La Lega è un partito forte e ha le sue aspirazioni legittime, ma è disposta a ragionare, partendo dal presupposto che si faccia un passo indietro da parte di tutti”.
Il dilemma Lagalla
Tuttavia, a Palermo, i salviniani non direbbero no per principio alla candidatura di Roberto Lagalla, nel ticket con Forza Italia. Ma come la metterà Gianfranco Miccichè che ha puntato forte su Francesco Cascio? L’ex rettore di Palermo, dal canto suo, ha capito il giochino della guerra intestina tra i berlusconiani. Ecco perché tenta di sottrarsi alla fazione: “Penso che sono caduto in un dibattito interno a Forza Italia che non mi appartiene e che mi si sposti, come convitato di pietra, da un lato all’altro del tavolo”.
Musumeci fa il tifo
Lo scenario è ulteriormente reso indecifrabile dal caloroso commiato che il presidente della Regione, Nello Musumeci, ha riservato al suo ex assessore che ha lasciato l’incarico per competere: “Lagalla ha compiuto una scelta non solo di coraggio ma anche di amore, come sapete non mi occupo di vicende amministrative sono però convinto di dovere dire in bocca al lupo per questa sua sfida”. Qualcosa in più di una semplice pacca sulla spalla. Verosimilmente, una candidatura non meloniana (Carolina Varchi) a Palermo potrebbe essere una garanzia in più per la riconferma del governatore, nello scacchiere degli incastri.
La partita a scacchi
Tra mosse e contromosse, per il centrodestra il tempo stringe. Sempre il professore Lagalla avverte: “Sì, il rischio (di perdere, ndr) è dietro la porta. Spero che, in uno slancio di tardiva saggezza, si riesca a recuperare l’unità, superando posizioni pregiudiziali e contrapposizioni utilitaristiche”. E’ una presa di posizione espressa, appunto, in lagallese, un linguaggio accademico e cauto, talvolta un po’ criptico. In questo caso il senso del discorso è evidente: spicciamoci o, a forza di non volere perdere singolarmente, perderemo tutti.