Perizia infinita sui beni Niceta | La decisione slitta ancora - Live Sicilia

Perizia infinita sui beni Niceta | La decisione slitta ancora

Uno dei negozi Niceta ormai chiuso

A quattro anni dal sequestro i consulenti hanno chiesto una nuova proroga.

MISURE DI PREVENZIONE
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PALERMO – Slitta ancora la decisione sul patrimonio degli imprenditori palermitani Massimo, Piero e Olimpia Niceta. I consulenti chiedono altri due mesi per completare una perizia che rischia di essere, oltre che complicata, anche infinita. La nuova proroga scadrà il 25 settembre. L’incarico fu conferito due anni e mezzo fa.

“Ci sentiamo ostaggio di una perizia che non è ancora pronta. Anche se sarà una buona perizia, come speriamo, che affermerà la legittima del patrimonio dei fratelli Niceta, ci regalerà una soddisfazione effimera perché il patrimonio a causa delle amministrazioni giudiziarie che si sono susseguite si è completamente dissolto”. Il collegio difensivo, di cui fanno parte anche gli avvocati Roberto Tricoli, Salvino Pantuso e Alessandro Cucina, ha presentato un’istanza per chiedere il dissequestro e la revoca dell’incarico dei periti a cui già nei mesi scorsi era stata dato una sorta di ultimatum.

Sull’esito della misura di prevenzione la Procura ha una tesi opposta a quella difensiva. La proposta di confisca al vaglio del collegio presieduto da Raffaele Malizia, subentrato di recente a Giacomo Montalbano, comprende una serie di elementi. Si parte da un pizzino in cui Matteo Messina Denaro scriveva al boss di San Lorenzo, Salvatore Lo Piccolo, per ringraziarlo di una vicenda che riguardava il “mio amico Massimo n.”. Gli investigatori all’inizio individuarono “Massimo n” in Massimo Niceta anche se successivamente dissero che non c’era certezza alcuna sull”identificazione e neppure sull’autore.

Nel 2009 il pentito Angelo Siino ribadì quanto già detto nel 1998 e cioè che “Mario Niceta (il padre degli eredi Niceta) era prestanome di Giuseppe Abbate, capo della famiglia mafiosa di Roccella”. Il rapporto fra i due sarebbe nato quando l’imprenditore, allora impegnato nel settore del calcestruzzo, era andato a chiedergli protezione per non pagare il pizzo. Nello stesso anno, anche Massimo Ciancimino tirò in ballo il vecchio Niceta. Il figlio di don Vito raccontò addirittura di averlo visto tra i presenti a una riunione organizzata nei primi anni Ottanta in una villa di fronte l’Hotel Zagarella. C’erano Vito Ciancimino, Bernardo Provenzano, Pino Lipari Tommaso Cannella e pure Mario Niceta. Nel 2009 quando vennero fuori le carte del blitz Golem, Massimo e Piero Niceta ricevettero un avviso di garanzia per intestazione fittizia di beni. Inchiesta che è stata poi archiviata.

Nell’aprile 2016 si è chiuso il primo grado della misura di prevenzione in corso a Trapani. In quel caso ha retto la ricostruzione dell’accusa per Francesco Guttadauro, considerato socialmente pericoloso, ma non per Massimo Niceta. Per il primo è scattata la sorveglianza speciale per quattro anni e la confisca del 50 per cento della società che gestiva un punto vendita, ormai chiuso, all’interno del centro commerciale Belicittà di Castelvetrano. Al secondo, invece, è stata restituita la restante metà della stessa società. Sarebbe stato, però, confermato il legame in affari fra i Niceta e i Guttadauro. Solo che la valutazione della posizione degli imprenditori è passata al Tribunale di Palermo dove si registra ancora un rinvio nel deposito della perizia.

Filippo Guttadauro, finito in carcere con l’accusa di essere l’ambasciatore del cognato Matteo Messina Denaro nei rapporti con Bernardo Provenzano, era stato intercettato in carcere mentre chiedeva alla moglie Rosalia, sorella del latitante, e al figlio Francesco notizie sull’apertura di un’attività commerciale. Fu Francesco Guttadauro ad inviare un sms a Massimo Niceta: “ciao Massimo, sono Francesco Guttadauro. Io domani devo scendere a Castelvetrano x sbrigarmi cose mie. Ci vediamo direttamente la x le 11.00 la ok?”. Risposta: “ Ok… ti chiamo quando arrivo…”. L’incontro sarebbe avvenuto al bar dell’area di servizio poco dopo lo svincolo di Castelvetrano dell’autostrada A29. Un mese dopo Guttadauro jr spiegava alla madre Rosalia Messina Denaro che “…infatti la prossima settimana ci debbo scendere, con quelli del negozio… perché loro ne hanno altri progetti di fare centri commerciali”. Sempre intercettato in carcere Filippo Guttadauro spiegava al figlio che doveva fare lavorare anche la sorella Maria: “…ma tu intanto…intanto tu già anno nuovo non anno nuovo in quei due tre mesi li ti dai una mezza impraticata Francesco ti inquadri tutto il lavoro e se tua sorella ti deve dare una mano di aiuto il pomeriggio…”. Nel novembre 2007 nello studio di un notaio di Castelvetrano nasceva la società Nica, con amministratore unico Massimo Niceta. Fu lui a prendere in affitto i due negozi nel centro commerciale.

Tutto questo portò nel dicembre 2013 il maxi sequestro che comprendeva, oltre a immobili e conti correnti, anche le società che gestivano una serie di negozi di abbigliamento in via Roma, corso Camillo Finocchiaro Aprile, viale Strasburgo e via Ruggero Settimo con il marchio Olimpia. I negozi sono stati gestiti dall’amministratore giudiziario Aulo Gigante, indagato per corruzione a Caltanissetta insieme all’ex presidente delle Misure di prevenzione, Silvana Saguto. Gigante avrebbe assunto il figlio della cancelliera e amica di Saguto. Circostanza respinta dai legali di Gigante, gli avvocati Enrico Tignini e Luciano Termini secondo l’assunzione non ci fu e non avrebbe potuto esserci nel rispetto dei principi del diritto del lavoro”.

Di recente ad ingrossare il fascicolo del processo di prevenzione sono arrivate le dichiarazioni di Angelo Niceta, cugino degli imprenditori, sotto accusa per bancarotta semplice. Angelo Niceta è diventato un testimone di giustizia e ha riferito dei presunti rapporti fra lo zio Mario e Bernardo Provenzano.

Al di là del merito delle accuse, ci si scontra con i i tempi della perizia. Il lavoro dei consulenti va avanti da due anni e mezzo. Troppo, secondo i legali. Troppo, secondo gli stessi Niceta che oggi dicono di versare in condizioni economiche disagiate e contestano la gestione del loro patrimonio ormai andato perduto.

 


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