"Non c'è più la speranza" - Live Sicilia

“Non c’è più la speranza”

Il consigliere comunale Angelo Ribaudo
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Angelo Ribaudo

Angelo Ribaudo

Una spirale di violenza, insofferenza e rabbia pare aver avvolto la città di Palermo in questi ultimi tempi. Anche le forme di protesta sono diventate dure, cupe. In città, in settimana si è assistito perfino al ritorno delle bare contenenti le spoglie di una “Palermo e di una Sicilia ormai defunte”. Un’aria irrespirabile, un vortice di tensione culminato con la lugubre consegna di una testa di capretto al presidente del Consiglio comunale Alberto Campagna. Di tutto questo Livesicila ha parlato con Angelo Ribaudo, consigliere comunale dell’Italia dei Valori.

Consigliere Ribaudo, Palermo sembra vivere un momento davvero difficile: dal delitto Fragalà, ai bulli che distruggono e dirottano gli autobus, dalle intimidazioni continue alle violenze di strada. Episodi diversi tra loro, ma che testimoniano il clima di tensione che si respira in città….
“Sì è così. Anzi io parlerei di situazione più che delicata. Di vero e proprio momento preoccupante. A Palermo in questi ultimi tempi è venuta a mancare la speranza. E questo porta ad un clima di tensione, di violenza. Ci sono naturalmente altre cause, però credo che in città sia avvenuto questo: alle aspettative dei cittadini si contrappongono risposte insufficienti e negative da parte di chi è chiamato a governare la città. L’amministrazione attuale, per incapacità, sta conducendo la nostra realtà in una situazione di difficoltà segnata dalla mancanza, dal bisogno. Fino a qualche tempo fa ancora riuscivamo ad assicurare, attraverso un sistema di ammortizzatori sociali, una serie di servizi per i più indigenti, dal buono-casa a quello per i libri. Questa condizione di estrema difficoltà, però non riguarda solo la nostra realtà, ma purtroppo s’inserisce nel contesto di una situazione nazionale drammatica, caratterizzata esclusivamente dallo scontro.”

Come si vive questa situazione in Consiglio comunale? Anche voi avvertite il sentore che in città qualcosa non va?
“Assolutamente sì. Credo che questo momento difficile sia avvertito in tutti gli organi istituzionali che sono i primi ad essere colpiti quando si vivono situazioni come queste. Il venir meno del lavoro, la caduta dell’occupazione sono tutti fenomeni che portano a situazioni di disagio, di malessere che poi possono anche sfociare in violenza. A questo dobbiamo aggiungere l’elemento delle criminalità organizzata che affonda le sue radici nel dramma dell’indigenza. In questi ultimi giorni abbiamo assistito alla comparsa di striscioni che addirittura inneggiano alla mafia: anche questa è dimostrazione di violenza”.

Alla base di questa escalation di tensioni e violenze, però, forse ci sono anche altre responsabilità. Esiste un problema di ritardo culturale, di carenza di senso civico nella cittadinanza, ancor prima che nelle istituzioni?
“Certamente esiste anche un problema di assenza di senso civico che si ripercuote negativamente sull’approccio che la gente assume rispetto alla lotta alla violenza. Penso, però, che la violenza si configuri più che altro come una sorta di cassa di risonanza di difficoltà diverse. La disperazione, la povertà, la mancanza di speranza si affidano a dei metodi che hanno condotto, e conducono a questa situazione di tensione di cui si parla tanto”.

Non è la prima volta che la città attraversa momenti come questi. Cosa è cambiato rispetto al passato nella reazione alla violenza dilagante?
“Ritengo che vadano presi in considerazione due aspetti che storicamente connotano la nostra realtà. Un bisogno costante di riconoscimento di diritti da parte dei cittadini e un’instabilità etico-morale che risale ai primi anni ’80. Purtroppo oggi emerge con tutta la sua forza e drammaticità l’incapacità di pianificazione della politica. Questi elementi di scarsa progettazione, di mancato riconoscimento di diritte e bisogni si manifestano non solo a livello di disagio sociale, ma anche a livello di comportamenti insofferenti o violenti”.

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