PALERMO – Il ricorso c’è. È già stato depositato. Ed è, sotto molti aspetti, un inedito assoluto. Un dirigente della Regione, l’unico di prima fascia tra i 1.700 in organico, ha contestato di fronte al giudice del Lavoro la recente nomina del direttore del dipartimento Beni culturali, Gaetano Pennino. Un ricorso che va al di là di quella nomina, e rischia di investire i più alti burocrati della Regione siciliana. “I dirigenti di terza fascia – ecco il cuore della contestazione – non possono svolgere il ruolo di dirigenti generali”.
Marco Salerno alla fine il ricorso lo ha presentato davvero, assistito dall’avvocato Gigi Rubino. Un caso più unico che raro. Non si ricorda, infatti, un “passo” del genere compiuto da un dirigente regionale nei confronti di quelle nomine. A spingere l’alto burocrate (il più alto, stando almeno al Ruolo unico della dirigenza) a contestare al giudice una “pratica” che va avanti da diversi anni, forse, la lunga militanza alla Regione (41 anni) e anche la recente norma approvata in Finanziaria con la quale viene abolita la cosiddetta “clausola di salvaguardia”: quella che garantisce a un ex dirigente generale lo stesso trattamento economico anche in seguito a un “demansionamento” voluto dalla politica. Prima di questa “caduta” della clausola, il dirigente avrebbe rischiato di farsi contestare il “difetto di interesse” al ricorso.
Ma il ricorso adesso c’è. E, come detto, riguarda nello specifico la nomina a direttore dei Beni culturali del dirigente generale Gaetano Pennino arrivata lo scorso 5 marzo del 2015, dopo la revoca all’incarico di Rino Giglione, entrato in conflitto anche col neo assessore Antonio Purpura in occasione della vicenda riguardante il siluramento dell’ex soprintendente di Siracusa Beatrice Basile.
Per Salerno, però, quella nomina è illegittima. Per diversi motivi. Intanto, a causa di una “leggerezza” del governo che ha proceduto con la nomina ignorando alcuni passaggi dettati dalle norme in vigore. “Il suddetto atto di conferimento dell’incarico – si legge infatti nel ricorso – non veniva preceduto dal prescritto avviso informativo nei confronti dei soggetti (come il ricorrente) interni all’amministrazione legittimati ed interessati a ricoprire il suddetto incarico, e non recava in se alcun motivazione specifica in ordine alle ragioni per cui l’amministrazione aveva inteso assegnare l’incarico in questione al citato dirigente di terza fascia (dottor Pennino), ignorando le professionalità di qualifica superiore”. Mancava, insomma, un atto di interpello. O quantomeno la verifica, lo screening all’interno dell’amministrazione regionale, che dovrebbe accompagnare qualsiasi nuova nomina dirigenziale. Ma già in questo passaggio si intravede la portata enorme di un possibile pronunciamento favorevole a questo ricorso.
“L’atto di incarico risulta illegittimo – si legge infatti nel ricorso – in quanto conferisce una posizione apicale di dirigenza generale ad un soggetto con qualifica di dirigente di terza fascia, quando, di contro, secondo la normativa e la consolidata giurisprudenza in materia l’incarico in questione può essere conferito solo in favore dei dirigenti di prima ed al massimo di seconda fascia”. E nel ricorso di Salerno sono ricostruiti i passaggi giuridici che potrebbero scatenare un vero e proprio terremoto alla Regione. La norma di partenza è la “famigerata” legge 10 del 2000. Che riporta un passaggio che in effetti appare inequivocabile. Che sembra tagliare fin da subito “la testa al toro”. Quella legge, infatti, la stessa, tra l’altro, che “crea” la terza fascia dirigenziale, prevede che l’incarico di dirigente generale possa essere conferito solo “a dirigenti di prima fascia, e nel limite di un terzo, che può essere superato in caso di necessità di servizio, a dirigenti di seconda fascia ovvero a soggetti di cui al comma 8”, cioè a persone non dei ruoli dell’Amministrazione. Esterni.
Una tesi, del resto, indirettamente confermata dal Tar che ha respinto il ricorso dei dirigenti Salvatore Taormina e Alessandra Russo nei confronti della nomina del segretario generale Patrizia Monterosso. Respinto proprio perché i due dirigenti, in quanto “di terza fascia” non potevano concorrere al ruolo di dirigente generale.
A dire il vero, l’Ars ci aveva provato nel 2003 con un disegno di legge specifico. I deputati avevano infatti previsto che “l’incarico di dirigente generale può essere, altresì, conferito a dirigenti dell’amministrazione regionale, appartenenti alle altre due fasce, purché, in tal caso, gli stessi siano in possesso di laurea, abbiano maturato almeno sette anni di anzianità nella qualifica di dirigente”. Un tentativo per estendere, appunto, ai dirigenti di terza fascia, quelle nomine. Che però è stato giudicato incostituzionale e impugnato dal Commissario dello Stato, che ha cancellato quel periodo. Alla fine, l’Ars ha approvato la norma senza quell’estensione. Insomma, la norma che detta le nomine dei capidipartimento resta quella dettata dalla legge 10: dirigenti di prima e seconda fascia, oppure esterni.
E invece, si alternano i governi, e tutto va avanti come se nulla fosse. Come se il Commissario dello Stato non avesse mai impugnato quella norma. Come se quell’inciso non fosse mai stato cancellato. Fino a oggi. Al ricorso dell’unico dirigente di prima fascia, “declassato” al ruolo di dirigente “semplice” nell’ufficio dell’Inventario e del Catalogo. Ma adesso, tranne due o tre eccezioni, tremano gli oltre venti dirigenti generali in carica in tutti i rami dell’amministrazione regionale.