"Perché loro dovevano comandare" | Odio fra famiglie dietro il delitto - Live Sicilia

“Perché loro dovevano comandare” | Odio fra famiglie dietro il delitto

Carabinieri al Capo il giorno del delitto

Vecchi dissapori, liti e affari sporchi: arrestati il killer e il complice si indaga sul movente.

L'OMICIDIO CUSIMANO
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PALERMO – Di sicuro c’è l’odio antico fra due famiglie dietro l’omicidio del Capo. I Lo Presti da una parte e i Cusimano-Bertolino dall’altro. Resta da capire quali recenti dissidi abbiano spinto Calogero Piero Lo Presti a uccidere Andrea Cusimano. Si guarda soprattutto al controllo dello spaccio di droga.

Il giudice per le indagini preliminari Ermelinda Marfia nella misura cautelare di Fabrizio Tre Re sottolinea che il killer e il complice sono tornati nel mercato con “un’arma ancora più letale del coltello con cui Lo Presti aveva già infierito sull’inerme vittima (si riferisce al taglio subito al volto dal fruttivendolo poco prima di essere ucciso)” per “dare una lezione esemplare per l’affronto subito nel predominio della piazza”.

“Perché loro (i Lo Presti) dovevano comandare”, diceva Teresa Pace, la nonna della vittima. Da qui l’ipotesi dei pm e dei carabinieri del Nucleo investigativo che le due famiglie siano arrivate allo scontro per la gestione di attività illecita in un contesto mafioso. Non a caso il reato di omicidio viene contestato con l’aggravante di avere agito con i metodi tipici di Cosa nostra.

Droga, pizzo, rapine: al momento non si conosce il movente. Si sa, però, e lo diceva la nonna intercettata, che “nella giornata di venerdì (la sera prima del delitto) si era afferrato con suo padre, alla Vucciria… e abbuscò due schiaffi… chissà che discussione hanno avuto”. A schiaffeggiare Giovanni Lo Presti, padre di Calogero Piero, in un pub era stato Francesco Paolo Cusimano, fratello della vittima. Lo stesso che la mattina del delitto aveva mollato una sberla allo stesso Calogero. Che decise di tornare armato al mercato, dove trovò e uccise il fratello Andrea.

Che ci sia una guerra in atto tra le due famiglie lo si capisce da quanto diceva Silvio Bertolino nel corso del colloquio in carcere. “Ci stanno mettendo il piede di sopra. Ci vogliono mettere il piede di sopra. Non ci dobbiamo arrivare, non ci devono arrivare a questo punto”.

La madre Teresa Pace ribatteva che erano stati già sopraffatti: “No ormai ci sono arrivati, perché loro dovevano comandare quando fu il fatto di Fabrizio”. Fabrizio è un altro componente della famiglia Bertolino che in passato era stato picchiato dal clan rivale. Bertolino credeva ancora di potere fare valere la propria forza: “Vedi che loro non sono arrivati a niente, perché quelli più grossi non ci hanno potuto…ma tu…quelli più grossi non ci hanno potuto… e questo il ‘cazzittello’ ha fatto questa azione”. Con la frase “quelli più grossi” probabilmente faceva riferimento ai Lo Presti, famiglia da sempre fra le più potenti, nel mandamento mafioso di Porta Nuova. Gente a cui nessuno, inclusi i Bertolino-Cusimano, poteva pestare i piedi.

Ai Bertolino non restava che rammaricarsi per quell’occasione sprecata in passato. “Come gli ho detto io a Nina e Fabrizio – diceva Teresa Pace – ne dovevano ammazzare a uno quando fu della faccia di Fabrizio”. Silvio ci aveva provato, armandosi di pistola ed aggredendo “u Minichieddu”, soprannome con cui veniva indicato Domenico Ferdico (deceduto il 28 aprile 2015), ma il fratello Franco Bertolino, 56 anni (pregiudicato per associazione mafiosa ed estorsione nell’operazione Panta Rei), lo aveva fermato. Proprio come i figli hanno fermato nonna Teresa scesa in strada armata per vendicare, a 84 anni, l’omicidio del nipote Vincenzo Cusimano.  


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