CATANIA – Qualcosa bolle in pentola a Catania. Nei prossimi giorni, le periferie ed il centro città si trasformeranno in palcoscenici naturali, sedi di performance di teatro sociale, e ciò grazie ad una call che, partendo da Catania, ha raggiunto molteplici località del territorio nazionale. Officina Social Meccanica, infatti, è da anni impegnata, attraverso la metodologia del Teatro Sociale, alla messa in opera di azioni socio-culturali che sostengano la costruzione di relazioni umane e la valorizzazione delle risorse creative di individui, gruppi e comunità, incluse le fasce sociali vulnerabili, svantaggiate, e a rischio di esclusione sociale (detenuti, disoccupati, migranti, persone psichiatrizzate, persone affette da gravi patologie, tossicodipendenti, giovani con problematiche di abbandono scolastico, disabili, anziani…), sia direttamente sia attraverso la formazione dei rispettivi operatori e volontari, nonché di familiari e reti sociali secondarie.
Il Centro di solidarietà popolare (Via Dusmet), il Ballatoio (Via del plebiscito), la sede dell’Associazione G.A.P.A. o quella della Biblioteca (ex Cinema Concordia), del teatro Coppola saranno alcuni dei siti attivi dell’evento tanto atteso. Ma cos’è il Teatro Sociale?
Lo spiega Mariagiovanna Italia, una delle organizzatrici della Biennale e fondatrice insieme a Luisa Sannella e a Maria Chiara Salemi di Officina Social Meccanica: “Non si tratta solo di fare un lavoro sociale verso persone svantaggiate ma un modo di procedere in cui i corpi si intrecciano agli sguardi e la drammaturgia viene espressa da una comunità che si narra. Non vi è un regista tradizionalmente inteso – aggiunge – quanto un conduttore-operatore che fa da collante”.
“Tutti possono fare teatro persino gli attori” affermava il brasiliano Boal: chiunque, infatti, dotato della capacità di immaginare il teatro può fare emergere le potenzialità creative più intime.Ecco spiegato, allora, perché sin da bambini si è facilitati a fare teatro.
Molteplici i temi prescelti per la tre giorni, tra cui il “valore della rappresentazione”, per esempio, che fa da cerniera al gruppo affinché il lavoro svolto non rimanga autoreferenziale ma sia comunicato alla collettività circostante. E poi ancora, “l’importanza degli spazi cittadini” in cui collocare l’arte affinché essa sia chiusa in se stessa. “L’intento – racconta l’organizzatrice – è creare sinergie con il pubblico locale avvicinando l’arte alla politica, attraverso un’analisi del rapporto tra queste, in termini di subordinazione o dialettica”.
Perché la scelta di definirla Biennale?
“E’ un nome importante, senz’altro, che guarda a manifestazioni che vantano storie altrettanto importanti. L’idea di Officina – svela – è di mettere su un evento, che ci auguriamo possa avere cadenza biennale, che si impreziosisca di contributi raccolti sull’intero territorio nazionale. Grazie alla call che abbiamo lanciato quest’anno (e conclusasi ad Aprile), hanno risposto ben sette compagnie nazionali eterogenee per età, composte anche da persone con qualche disagio”.
Tra gli elementi che caratterizzano la manifestazione, il <biglietto ribaltato>: “non chiediamo un prezzo fisso – afferma – ma gli spettatori sceglieranno quanto pagare solo a fine spettacolo ed in base sia alle possibilità economiche personali che al valore che ognuno di loro avrà assegnato alla rappresentazione. Sperimentiamo questa formula con sacrificio – conclude – cercando di responsabilizzare chi partecipa, ma al tempo stesso con la certezza della bontà dell’iniziativa”.
Officina è l’intreccio di tre donne ognuna con la propria storia ed i propri desideri, ma tutte accomunate dalla voglia di fare promozione sociale discutendo tematiche importanti, come la maternità, ad esempio, in un’epoca in cui non vi è più, ahimè, il riferimento comunitario (la vicina di casa, per intenderci). O ancora, quello complesso del passaggio dall’età giovane a quella matura da parte di donne e uomini, progetto denominato “L’adultetà”.
Che aspettativa avete con la Biennale?
“Di veder tanta gente che, riunita, possa iniziare ad interrogarsi ed immaginare la diffusione della parola attraverso il corpo. Ma, soprattutto, l’intento é di riuscire a diffondere quanto più possibile il teatro sociale, un modo per stare insieme nel rispetto delle differenze. Vorrei far capire – conclude – che il lavoro non è un laboratorio, uno scritto o una performance, quanto lo studio di ciò che ci sta intorno da affrontare con strumenti antichi”
Per info sul programma: http://www.teatrosocialecatania.it/laboratori/