Uccise il genero che perseguitava | la figlia, ridotta la condanna - Live Sicilia

Uccise il genero che perseguitava | la figlia, ridotta la condanna

Gioacchino Di Domenico ed Emanuele PIlo

Nove anni e 4 mesi, a fronte dei 10 inflitti in primo grado, per Gioacchino Di Domenico.

La corte d'assise d'appello
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PALERMO – La corte d’assise d’appello ha ridotto la condanna da 10 a 9 anni e 4 mesi per Gioacchino Di Domenico che, l’1 ottobre del 2012, uccise a colpi di fucile il genero, Emanuele Pilo, un netturbino di 27 anni. La vittima, denunciata per stalking dalla ex moglie, tentò prima una riconciliazione, poi prese a perseguitare la donna e i suoi familiari. Il giorno del delitto Pilo cercò di scavalcare il cancello della casa della ex, a Falsomiele. Fu a quel punto che Di Domenico avrebbe sparato colpendo il ragazzo al viso e al petto.

“Voleva ammazzarci tutti con un coltello e gli ho sparato”, ammise Di Domenico. Secondo il racconto del sessantacinquenne, il giovane stava scavalcando il cancello della sua villetta in via Brasca, nel rione Falsomiele. Allora imbracciò il fucile da caccia ed esplose due colpi che non diedero scampo alla vittima. Lo raggiunsero al volto e al petto. L’omicidio arrivò al culmine di mesi di contrasti e tensioni.

Emanuele Pilo, che la sera del delitto si presentò a casa Di Domenico con un grosso coltello da cucina, non aveva accettato la separazione dalla moglie e iniziò a braccarla. Provò pure ad incendiarle la casa. Un mese prima del delitto era stato denunciato per stalking e gli era stato imposto di non avvicinarsi alla donna. La moglie non voleva tornare a vivere con un uomo che non riconosceva più, violento com’era diventato. Tutto questo, puntualizzato dai legali della difesa, gli avvocati Ninni Reina e Miria Rizzo, potrebbe avere pesato sul riconoscimento delle attenuanti generiche. Lo sapremo solo quando saranno depositate le motivazioni della sentenza. Anche Pilo, per la verità. aveva denunciato la famiglia Di Domenico perché gli sarebbe stato impedito di incontrare i figli.

Il Tribunale del Riesame che mandò l’imputato ai domiciliari, un mese e mezzo dopo il delitto, accogliendo la richiesta degli avvocati Reina e Rizzo, sottolineò il clima di pressione che Di Domenico e i suoi familiari erano costretti a subire. I parenti di Pilo andarono su tutte le furie. La Procura fece ricorso, ma anche la Cassazione stabilì che gli arresti in casa erano sufficienti a garantire le esigenze cautelari. Un anno dopo Di Domenico era del tutto libero per decorrenza dei termini con il solo obbligo di vivere lontano da Palermo e di firmare i registri in commissariato.

I parenti della giovane vittima avevano sollevato più di un dubbio sulla circostanza che Pilo fosse andato armato in via Brasca. Addirittura ipotizzarono che qualcuno gli avesse messo il coltello in mano quando era già morto.


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