PALERMO – L’uomo che ha bevuto il caffè in casa della vittima potrebbe essere stato il suo carnefice. Antonino Muratore resta in carcere. Il giudice ha convalidato il fermo del pensionato di 76 anni accusato di avere ucciso Baldassare Licari, capo cantoniere in pensione, di dodici anni più giovane di lui.
Il 4 novembre 2013 una chiamata al 113 avverte che c’è un cadavere dentro una Fiat 600 in contrada Sagana Porta Palermo, nelle campagne di Borgetto. Licari è stato ucciso da un colpo di pistola alla tempia destra. Altri quattro proiettili lo hanno raggiunto al collo e al torace. È seduto sul lato guida, senza maglietta né scarpe e con indosso un paio di pantaloncini. La macchina ha perso del liquido refrigerante. Seguendo la scia, i poliziotti giungo nella casa della vittima. Sul pavimento della cucina ci sono i cocci di vetro di un barattolo di zucchero. Sulla porta, tracce di sangue e impronte. Sul tavolo tre tazzine di caffè. Una piena e due vuote. La macchinetta del caffè sul fornello.
I parenti di Licari non sanno darsi una spiegazione. Citano solo un episodio che stuzzica la curiosità dei pubblici ministeri Dario Scaletta e Claudio De Lazzaro.
L’uomo era stato denunciato dalla proprietaria di una casa a Montelepre. Beghe di vicinato causate dall’istallazione di un recipiente. Licari ha un immobile nella stessa palazzina. La donna è figlia di Antonino Muratore. Il telefono del padre finisce sotto controllo: “… ma questo mi pare che era quello che si è comprato le case di mia suocera la sotto e dimmi una cosa, questo che è morto l’altra volta come si chiama Saro?”. Frasi che, secondo l’accusa, sarebbero state volutamente pronunciate dall’indagato per allontanare i sospetti. Perché in realtà vittima e presunto assassino si conoscevano bene da anni. Lo convocano in commissariato. Ai parenti racconterà che gli investigatori “ hanno messo la tazzina… vuota nel… sopra il tavolo… il caffè se lo prende? Non lo voglio….. No gli dissi, me lo prendo una volta solo la mattina…..”.
Il 12 marzo gli stessi investigatori prelevano un campione di saliva di Muratore. E scoprono che è stato lui a bere in una delle tre tazzine trovate sul tavolo della cucina. Eppure ai poliziotti l’uomo, come lui stesso racconta ai parenti, aveva detto che “.. io, non, non lo ho visto. Anzi gli dissi che è da quattro anni che non lo vedo, se a lui lo vedo…, neanche lo conosco più…e loro questo aspettavano, che glielo dico io! Perché… e come lo sa… aumenta la dose…tanto piacere se lo vedo gli ho detto …io ho fatto finta che non sapevo niente”.
C’è una intercettazione, più di altre, che in Procura ritengono decisiva: “… io… il numero… che cancellai tutte cose e… non vi chiamavo più e cose perché, chi sa, quando sono andato la, senza… e… cose… telefonino. L’unica cosa se, tramite i satelliti, ti prendono ma chi lo sa, hanno potuto prendere però, se non hanno preso tramite cosa, cosa… non hanno niente da fare…”.
Muratore si sentiva tranquillo, credeva di non potere essere scoperto perché era andato a casa di Licari senza telefonino? Il giudice per le indagini preliminari Lorenzo Matassa ha convalidato il fermo e ha applicato all’indagato la misura cautelare in carcere. Ci sarebbe il rischio del pericolo di fuga (Muratore mesi dopo il delitto è andato a trovare il fratello in Spagna dimostrando, nonostante l’età, la capacità di spostarsi lontano dalla Sicilia). Ci sarebbe anche il rischio di reiterazione di reato, visto che la sua personalità viene definita aggressiva e violenta. E ci sarebbe pure il rischio cerchi di scappare alla vendetta dei familiari. Una ipotesi che non può essere esclusa alla luce di alcune conversazioni telefoniche intercettate. E nel frattempo nel suo interrogatorio davanti al Gip, Muratore ha negato anche l’evidenza. Mai stato in quella casa. Il Dna sulla tazzina non può essere il mio.