PALERMO – “Qua non c’è niente più… qua tutte cose smantellate sono… ci sono ora singole persone che non hanno ruolo”, così diceva il boss Pino Rizzo nell’ottobre 2021. Un vuoto che avrebbe cercato di colmare in prima persona.
Da alcune ore Rizzo, mafioso di Campofelice di Roccella, è tornato in carcere dove ha già trascorso 17 dei suoi 54 anni. Nel blitz è coinvolta anche la compagna, Giada Quattrocchi, 45 anni, che sarebbe stata il braccio destro di Rizzo, un tempo luogotenente del capo mandamento di Caccamo, Nino Giuffrè, poi divenuto collaboratore di giustizia.
Il coraggio della ex moglie
Nel 2019, finita di scontare la pena, Pino Rizzo aveva aperto un profilo Facebook. Attraverso i social lanciò un messaggio d’amore ai figli. Un tentativo di riconquistarli, dopo che anni prima avevano deciso di cambiare vita e nome. Una scelta condivisa con la madre, Carmela Iuculano, divenuta collaboratrice di giustizia.
Si occupava di gestire i soldi del pizzo per conto del marito. Poi la scelta radicale: “A chi vive accanto ad un mafioso voglio dire: andatevene, lasciateli, riprendetevi la vostra vita, adesso siete solo schiave di un ruolo, del dovere di essere buone mogli e buone madri, ma la vera libertà è quella che ho acquistato io, quella che mi ha permesso di regalare un futuro ai miei figli”.
I figli hanno tentato più volte di convincere anche il padre a cambiare vita. Poi, visti i risultati nulli, decisero di recidere il legame.
I contrasti con il capo
I fari investigativi si sono accesi su Rizzo a partire dalla pubblicazione di quei messaggi social. I carabinieri della compagnia di Cefalù hanno iniettato il virus trojan nel suo cellulare. Ed è emerso il suo ruolo nelle attuali dinamiche mafiose. Come quando avrebbe incaricato Pietro Cicero di recarsi a suo nome da un imprenditore per evitare contatti diretti (“loro con me non ci devono parlare…. ci devi dire lui non vuole parlare con… non ha bisogno di parlare… parla con me”) affinché imponesse il pizzo: “Ci
dici che prende cinquemila euro e me li porti… però no nell’anno 3000″.
Il ruolo di capo mandamento sarebbe stato assegnato a Luigi Antonio Piraino. Era un semplice soldato, ma con il vuoto di potere si sarebbe ritrovato al vertice. Così aveva deciso il boss ergastolano Rosolino Rizzo, zio di Pino.
Il pentito
A descrivere la situazione è stato Filippo Bisconti, ex capo mandamento di Belmonte Mezzagno, divenuto collaboratore di giustizia. “Pirano è reggente di quel mandamento, non ha tutte le capacità e non ha tutte le conoscenze, e pertanto ha la necessità e rispetta le direttive di Rosolino Rizzo”, ha messo a verbale.
Pino Rizzo, pur non apprezzato dallo zio Rosolino, “scottato” dalla vicenda della collaborazione della moglie Iuculano, era comunque tenuto in grande considerazione da Piraino: “…mi disse che era una persona molto attiva, anche se Rosolino Rizzo non era d’accordo che continuasse ad operare nel contesto mafioso, per causa della moglie che era divenuta testimone di giustizia e del fatto che aveva reso dichiarazioni nel processo che non si addicevano ad un mafioso”.
Gli attacchi contro “Paperino”
Che Rizzo in verità non avesse alcuna voglia di essere il numero due della cosca mafiosa emergerebbe da alcune sue conversazioni in cui prendeva in giro Piraino, definito “Paperino” e “capo mandamento del nulla”.
Di Piraino Rizzo criticava soprattutto la scelta di imporre il pizzo a tappeto. Anche a danno delle persone che faticavano ad arrivare a fine mese, attirandosi il disprezzo dei concittadini.
Era troppo rischioso: “… lo capisci che se vai a finire in galera scippi altri 20 anni… ed ha 60 anni… non si esce di la dentro… (bestemmia) se non te la canti…”.
Ed invece, secondo Rizzo, bisognava tornare al modello del passato. Ottenendo il rispetto della gente, gli imprenditori e i commercianti si sarebbero presentarsi di nuovo spontaneamente per versare la tassa imposta da Cosa Nostra.