Palermo-Catania, l'autostrada dei siciliani senza speranza

Palermo-Catania, viaggio sull’autostrada dei dannati

Cronaca di una traversata memorabile. Tra 'omini' e deviazioni. E il Ponte?
LA TRAVERSATA
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5 min di lettura

(Roberto Puglisi) Palermo-Catania, atto unico: breve cronaca di una epopea memorabile. Si comincia dalla fine. “Ma scusi, lei che ne pensa? Il Ponte sullo Stretto sarà una santa cosa, per carità. Ma per come siamo messi è come dare la pelliccia a uno che muore di fame. Solo che il Ponte non si può rivendere, la pelliccia sì”.

L’albergatore di Pozzallo, centro-gioiellino, pieno di persone gentili, risponde così a chi gli ha appena raccontato, appunto, le freschissime peripezie della Palermo-Catania (nella foto social), la famigerata A 19, senza avere ancora, di nuovo, sperimentato le delizie della Catania-Palermo. Chiunque l’abbia affrontata non la dimenticherà mai più. Ora non è che si dubiti: tutti avranno fatto il possibile, senza dormirci la notte, spendendo perfino preziosi minuti d’ozio, pur di porre fine al calvario. Resta il fatto. Quella autostrada magari sarà una maledizione della sorte. Faticosissima da attraversare era, con i suoi cantieri, con le sue deviazioni, con le sue sorprese. Faticosissima rimane, a sperimentarla dopo un po’, senza misericordia.

Oppure è un manifesto culturale, incompreso e veridico della Sicilia che, a percorrerla da parte a parte, offre il brivido di un’impresa ottocentesca, delle tante che si narrano in celebri romanzi. Lo svelamento di un giallo: non piantate niente, perché tanto nulla di buono potrà crescere mai quaggiù.

Comincia la traversata….

Dunque, metti che per destino o per scelta – un impegno di lavoro, un affare, una visita medica, una vacanza – tu debba andare da Palermo a Pozzallo. Se non ti piace guidare, avrai dato un’occhiata al calendario dei treni. E avrai visto che è meglio lasciare perdere: sulla carta, per orari e fatica, sembra una di quelle traversate nel vecchio West, con il vagone d’epoca e il timore di incontrare agguati sulla via. Spostarsi sui trenini della Sicilia potrebbe ravvivare una esperienza sociologica e narrativa affascinante, alla Giulio Verne. Tuttavia, per i comuni mortali – che a un’ora partono e a un’ora vogliono arrivare – l’approccio è caldamente sconsigliato.

Non resta che la macchina, con le memorie dell’A 19 sbiadite nel tempo, se sei un fortunato che deve frequentarla di tanto in tanto. E se fossi uno da impegno quotidiano o settimanale? Uno di quelli che la Palermo-Catania la temono come la pena e l’amaro calice di ogni giorno?

In ‘buona compagnia’

Si va, stringendo i denti, con la graziosa compagnia di tanti amici. Il primo è un omino in effigie, icona perenne dei lavori in corso, con la scritta 700 (settecento). Non è stato situato lì per propagandare il secolo dei lumi. Indica la distanza dal restringimento. Infatti, subito dopo, arriva il suo collega: stesso omino, stessa immagine, ma con la scritta 350 (trecentocinquanta). Dovrai spostarti a destra o a sinistra, per non sbocciare i birilli e le frecce sull’asfalto.

E siccome tutto è concepito come un gigantesco videogioco, ecco che piomba a velocità incommensurabile, alle tue spalle, una vettura, verosimilmente guidata da un discendente del Barone Rosso. Il suo scopo è chiarissimo: vuole superarti, a filo di deviazione, per non starti dietro. Vergogna e infamia, per lui, sarebbe. Perché tu rispetti i limiti di velocità, ma lui intende sbrigarsi. Da qui sorge l’imperiosa picchiata. Lo lasci passare, riuscendo miracolosamente a immetterti nella corsia e poi, automaticamente, cerchi il comando della mitragliatrice di improperi. Quella originale dei tempi del Barone Rosso, grazie a Dio, non è di serie.

Finisce qua? Nemmeno per sogno. Altro pezzo forte del repertorio – fortissimo sulla Catania-Palermo – è la strozzatura in galleria. Entri, nel taglio di luce abbagliante che precede l’ombra, sperando di non sbagliare. Osservi i birilli caduti, come vittime del dovere, segno che sbagliare non è poi così difficile. Infine, esci dalla galleria, con una lama di sole dardeggiante nella pupilla, cercando di decifrare le frecce e di non perdere mai d’occhio quei dannatissimi birilli. Ma scusi, lei che ne pensa?, verrebbe da chiedere al primo politico a tiro.

Scongiuri e caffè

Almeno, finisce qua? No. Come commentare alcuni rappezzi di strada che sembrano assemblati dalle manine tremebonde di un infante alle prese con i mattoncini delle costruzione? Come descrivere la scalata in un lunghissimo doppio senso di marcia che, se non stai attento, come sempre si deve, hai solo l’imbarazzo della paura? E cosa pensare, cosa dire, nel breve ristoro del caffè di un’area di servizio, quando incontri facce stravolte come la tua che maledicono la viabilità e mimano inenarrabili scongiuri, tutti allietati da uno scimmiotto meccanico che abbassa e rialza il capo dall’apposito scaffale?

Chissà: la Palermo-Catania potrebbe essere un gigantesco luna park, un esperimento sociale e siamo noi che non abbiamo il giusto senso dell’umorismo.

Il Ponte dei sogni

Ma è proprio in quei momenti sospesi che pensi – con un feroce sarcasmo – al Ponte sullo Stretto, secondo le parole successive dell’albergatore di Pozzallo, come alla pelliccia data a chi non ha pane, soltanto che non si può rivendere: “Ma scusi, lei che ne pensa?”.

Forse è un errore sottovalutarne l’importanza, secondo diverse priorità. Forse l’opera avrebbe un effetto bandiera, provocherebbe uno scatto d’orgoglio, capace di attrarre investimenti e riqualificazioni. Forse, invece e purtroppo, vincerebbe l’atavica maledizione di una Sicilia orba eternamente di rimedio e, dunque, di strade e servizi la cui latitanza, altrove, provocherebbe una sommossa popolare. Insorge, poi, un’idea malinconica: quale alzata di testa potresti chiedere a noi, sudditi isolani e dannati, che camminiamo, dolenti, su certe trazzere chiamate autostrade, senza nemmeno un cenno di timido disappunto pubblico? Perché il punto è proprio questo: noi, la testa, a differenza dello scimmiotto, non la solleviamo mai.


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