Palermo, Rossi: "Affezionato a Sirigu. Pastore l’ho sentito a Roma"

Delio Rossi: “Sono affezionato a Sirigu. Pastore mi ha chiamato dopo il PSG”

L'ex allenatore del Palermo intervistato dalla redazione di LiveSicilia (parte 2)
L'INTERVISTA
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3 min di lettura

PALERMO- Il ricordo di Delio Rossi a Palermo è quello che i tifosi rosanero riservano a pochissimi personaggi del mondo del calcio passati dal capoluogo siciliano. E quasi in maniera paradossale, questo affetto nei confronti dell’allenatore di Rimini è rimasto anche dopo “quella” finale persa il 29 maggio 2011.

In occasione della sosta del campionato di Serie B per le nazionali, l’ex tecnico del Palermo ha risposto ad alcune domande ai microfoni di LiveSicilia. Con la cordialità che lo contraddistingue, Delio Rossi ha parlato del suo passato sulla panchina del club rosanero.

Mister, qual è il suo primissimo ricordo se le diciamo proprio Palermo?
“Il primissimo ricordo di Palermo è Mondello, l’Addaura. Dove stavo in albergo”.

Ha più sentito o incontrato qualcuno della squadra rosanero dopo la finale di Coppa Italia persa contro l’Inter?
“Sì, certo. Io non sono uno che telefona o fa cose del genere, ma Pastore l’ho sentito. Mi ha chiamato lui, era venuto a Roma dopo il PSG e ci siamo sentiti”.

Oggi Sirigu è tornato a vestire la maglia del Palermo esattamente dopo 13 anni da quella finale persa…
“Sono legato a quei ragazzi, hanno dato tanto alla squadra e quindi anche a me. Era lo zoccolo duro, era gente che ha fatto crescere. La forza di quella squadra non erano i Pastore, Ilicic o Cavani. Erano i Miccoli, Migliaccio, Balzaretti, Cassani. Ti permettevano ogni anno di vendere magari i giocatori migliori e poi sapevano che il presidente non faceva delle altre scommesse e loro erano praticamente l’ossatura”. 

E di Sirigu quindi cosa ne pensa?
A Sirigu sono affezionato, anche perché l’ho messo in porta io che era giovanissimo. Mi fa piacere la carriera che ha fatto e penso che sia giusto, in un certo senso era una sorta di debito di riconoscenza per una squadra che ti ha dato tanto”.

Sa di essere secondo solo a Guidolin, per pochi di voti, nella panchina della Hall of Fame dei rosanero?
“Ogni tanto mi piacerebbe arrivare primo (sorride, ndr). L’ho detto spesso e volentieri, avevo allenato diverse volte al sud con una parentesi al nord, a Bergamo. Le uniche due regioni che non conoscevo erano la Sicilia e ancora oggi la Sardegna. Quindi per me era qualcosa di nuovo. Ho trovato una regione e una città che mi ha accolto in maniera stupenda”.

E i tifosi del Palermo?
“Erano persone magari un po’ diffidenti all’inizio, ma appena vedono che dai il massimo conquisti il loro rispetto e poi ce li hai per tutta la vita. Lo fanno con discrezione, magari in altri posti è molto più legato al momento, se vai bene o se vai male. Invece penso che hanno anche stima del fatto che uno ce la metta tutta, poi i risultati vengono o no. Perché i tifosi del Palermo ad esempio hanno un ricordo indelebile, magari di una finale persa“.

Il suo Palermo aveva trovato nel Barbera un fortino, oggi invece non riesce a vincere in casa (quest’anno due pareggi e una sconfitta). Che succede secondo lei? Qual è il segreto?
“Onestamente è più facile giocare in casa che fuori. Se sei una squadra che ha un gioco strutturato, sicuramente il fatto di giocare in casa ti dovrebbe aiutare. Considerato anche il calore della gente di Palermo mi sorprende, però penso che sia un fatto momentaneo. Se una squadra ha un gioco collaudato e sa giocare bene fuori casa, non vedo perché non debba farlo in casa. Magari se è così succede pure perché in trasferta possibilmente la partita la subisce e non la deve fare”.

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