PALERMO – Salvatore e Gioachino Salamone si muovono fra la Vucciria e Resuttana. Uno abita nel cuore della vecchia Palermo, l’altro allo Zen. Personaggi già noti alle forze dell’ordine, ora di nuovo nei guai giudiziari. Secondo l’accusa, sono i fornitori della cocaina “ordinata” da Mario Di Ferro per amici e clienti facoltosi del ristorante di “Villa Zito. Entrambi, accompagnati dall’avvocato Enrico Tignini, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere nel corso dell’interrogatorio di garanzia davanti al giudice per le indagini preliminari Antonella Consiglio e dal pubblico ministero Giovanni Antoci.
Un’inchiesta che va avanti dal 2020
Ai Salamone è stata applicata la misura più restrittiva – il carcere – anche in virtù dei precedenti penali specifici. Ed è guardando alla loro storia che probabilmente si può intuire il contesto in cui è maturata l’inchiesta su Di Ferro. Un contesto in cui si parla di mafia ed ancora coperto dal segreto investigativo. C’è un’indagine della Procura di Palermo che affonda le sue radici nel 2020, è ancora in corso e gli sviluppi potrebbero vedersi presto. I poliziotti della Squadra mobile hanno casualmente ascoltato che Di Ferro sarebbe stato contattato da “un esponente di spicco di Cosa Nostra per un riservato appuntamento”.
Salamone, Corona e il delirio di Cosa Nostra
I fratelli Salamone nel 2018 furono coinvolti nell’operazione “Delirio” della polizia valutaria che fece emergere la figura di Giuseppe Corona. Affiliato alla famiglia di Resuttana, ma molto legato ai mafiosi di Porta Nuova, Corona ha fatto di una “fitta rete di contatti e amicizie, anche in ambiti leciti della società civile” la sua grande forza per scalare i vertici dell’organizzazione criminale. Così è stato descritto il boss, condannato in primo grado a 19 anni di carcere.
Una parte del processo è giunta alla sentenza definitiva. Lo scorso mese di maggio la Cassazione si è pronunciata su alcune posizioni che riguardavano gli investimenti dei soldi dei boss ripuliti in varie attività commerciali della città: bar, centri scommesse e compro oro. Tra i condannati con sentenza definitiva c’è Raffaele Favaloro, a cui era stata perdonata la colpa di avere un padre collaboratore di giustizia. Favaloro si era guadagnato il rispetto sul campo. E così quando nel 2013 qualcuno pensò che fosse giunta l’ora di ucciderlo, fu il capomafia Vito Galatolo, anch’egli oggi pentito, a stoppare il piano di morte.
Intrecci mafiosi
Raffaele Favaloro divenne l’ufficiale di collegamento con i boss delle altre famiglie mafiose di Palermo. Per ultimi quelli di Porta Nuova, dai fratelli Giuseppe e Domenico Tantillo a Giuseppe Corona. Nello stesso processo in Cassazione sono state confermate le pene di pochi mesi inflitte ai fratelli Salamone, arrestati nel blitz “Delirio” del 2018 (per la verità erano già detenuti quando furono raggiunti dalla nuova ordinanza di custodia cautelare). L’accusa aveva chiesto condanne pesanti, ma alla fine il reato è stato contestato in continuazione con quelli precedentemente commessi. Da qui le pene miti.
(LEGGI: Omicidi, pentiti e bugie: quando il boss Corona prese la parola)
Pochi giorni fa il nuovo arresto. Quando Di Ferro (solo lui?) aveva necessità di reperire della droga sapeva di potersi rivolgere ad uno dei fratelli Salamone, sempre pronti a raggiungere il ristorante di via Libertà per le consegne. Veloci ed efficienti, in perenne movimento fra Resuttana, la Vucciria e il rione Zen in un perimetro che non è solo geografico, ma anche investigativo.