Palermo, Montalto in pensione: dalla Trattativa a Messina Denaro

Montalto in pensione: dalla Trattativa all’incredulità su Messina Denaro

Il giudice Alfredo Montalto
Sue le sentenze su alcuni terribili fatti di sangue

PALERMO – Alfredo Montalto va in pensione. Chiude una lunga carriera in magistratura, salutando da presidente della sezione Gip-Gup del Tribunale di Palermo.

Il suo nome è associato a molti dei più importanti processi celebrati nel capoluogo siciliano. Fu lui a scrivere le 5.252 pagine di motivazione nel processo di primo grado in cui la Corte di Assise da lui presieduta condannò gli imputati – mafiosi, politici e ufficiali dei carabinieri – al processo sulla Trattativa Stato-mafia. In appello e poi in Cassazione le cose sarebbero andate in maniera diversa. I supremi giudici picconarono quel verdetto in quanto “l’esclusione di possibili ipotesi alternative non può supplire alla carenza di certezza dell’indizio”.

Altre sentenze scritte dal magistrato hanno invece ricevuto il sigillo di definitività. Ad esempio quelli per gli omicidi del vice questore Boris Giuliano e del commissario Beppe Montana, e il processo a Giovanni Brusca per il sequestro e l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo.

Per ultimo Montato ha firmato le ordinanze di custodia cautelare per alcuni fedelissimi di Matteo Messina Denaro. In quella che mandò in carcera la maestra Laura Bonafede mise per iscritto un sentimento comune: “Quel che disorienta è che in tutto questo lunghissimo arco temporale la tutela della latitanza di Messina Denaro è stata affidata, non a soggetti sconosciuti ed inimmaginabili, bensì ad un soggetto conosciutissimo dalle forze dell’ordine e cioè a quel Leonardo Bonafede da sempre ben noto, oltre che come reggente della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, soprattutto per la sua trascorsa frequentazione ed amicizia con i[ padre di Messina Denaro”.

Ancora più tranciante in un altro passaggio a proposito delle indagini che “mettono in luce l’incredibile ed inspiegabile insuccesso di anni ed anni di ricerche in quella ristretta cerchia territoriale compresa tra Castelvetrano e Campobello di Mazara, costantemente setacciata e controllata con i più sofisticati sistemi di intercettazioni e di videosorveglianza di tutti i luoghi strategici che, tuttavia, come oggi si è scoperto, non hanno impedito che il più ricercato latitante del mondo potesse condurre, in quegli stessi luoghi e per molti anni una ‘normale’ esistenza senza neppure nascondersi troppo, ma anzi palesando a tutti il suo viso riconoscibile. Come ciò sia potuto accadere, si ripete, appare al momento inspiegabile e non privo di conseguenze”.

A Montalto che lo interrogò il padrino corleonese disse che la sua “sfortuna” era stata la “malattia”, altrimenti “non mi avreste trovato”. Un interrogatorio condotto da Montalto con grande equilibrio che però non mancò di sottolineare e smascherare il giochetto di un sanguinario che tentava di sminuire gli atroci delitti da lui commessi.


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