PALERMO – C’è l’assassino, ma al momento non c’è il movente dell’omicidio di Stefano Gaglio. Ci sono, però, delle ipotesi ritenute plausibili e affondano le radici in rancori familiari legati a questioni economiche.
L’interrogatorio
Sono due le cose che Giuseppe Cangemi, assassino reo confesso, ha detto agli investigatori nel corso dell’interrogatorio, prima che i pm Maurizio Bonaccorso e Gaetan Bosco disponessero il fermo per omicidio con l’aggravante della premeditazione.
Ha ammesso di avere sparato al cognato con la pistola che ha consegnato ai poliziotti al suo arrivo alla squadra mobile. I poliziotti lo avevano già identificato. Sul revolver Cangemi ha aggiunto di averlo trovato in un cassonetto della spazzatura un anno e mezzo fa. Lo ha conservato in un magazzino della Rap, dove lavorava come operaio.
Una spiegazione ritenuta inverosimile da chi indaga, tirata fuori per giustificare il possesso dell’arma con la matricola abrasa. Un giustificazione espressa con una lucidità poi smarrita. Cangemi, infatti, ha detto di non sapere perché ha fatto fuoco e quando le domande si sono fatte incisive è arrivata una reazione che denota instabilità psichica.
Le risposte erano traballanti. L’indagato diceva di respirare male, si portava nervosamente la mano alla testa per indicare che la memoria non lo aiutava nei ricordi. C’è davvero un disagio psichico o è una messinscena?
“C’è un forte disagio psichico”, dice l’avvocato Salvino Pantuso che difende Cangemi. “Questo disagio porta ad affermare che non c’è alcun movente che abbia spinto il mio assistito a sparare contro il cognato. Questo è un aspetto che dovrà essere valutato nel prosieguo delle indagini. Si è detto di eredità o di questioni economiche, ma non è così”, aggiunge.
Si scava nel contesto familiare
Resta da capire il movente del delitto. Si continua a scavare nel contesto familiare dove in realtà non mancano i rancori per motivi economici. La situazione è tutta da decifrare. In ballo c’è sempre la storia della villetta di Carini donata dal padre alla moglie della vittima, provocando risentimento nei parenti.
Sarebbe saltata fuori la storia di un altro immobile di Cangemi con possibili passaggi di proprietà in vista di cui i più stretti familiari non sarebbero stati al corrente. Lo avrebbero saputo dalla vittima a cui Cangemi rimproverava di avergli messo contro persino i figli. Gli investigatori stanno facendo uno screening patrimoniale per venirne a capo.
Un clima di forte tensione
Un ulteriore particolare inquietante si innesterebbe nella storia. Qualche giorno fa l’assassino avrebbe segnalato dei colpi di pistola esplosi contro la sua abitazione alla Kalsa. Le forze dell’ordine hanno fatto delle verifiche che hanno dato esito negativo. Sono tutte circostanze che descrivono un clima di forti tensioni sfociate nel delitto.
Cangemi ha atteso che il cognato arrivasse in via Oberdan nella farmacia dove lavorava come magazzinieri e ha aperto il fuoco. Di Cangemi si sono già occupate le cronache. L’uomo, infatti, è sotto processo insieme ad altri trentasei imputati accusati di avere dato via ad un’organizzazione che avrebbe rubato auto di lusso a Napoli per rivenderle a Palermo, dopo avere pure incassato i risarcimenti delle compagnie di assicurazioni.
Incontri mafiosi
Il nome di Cangemi è di recente emerso nelle carte del blitz dei 181 dello scorso febbraio. Nella bottega di generi alimentari che la sua famiglia gestisce alla Kalsa si facevano vivi alcuni mafiosi. Per non essere intercettati lascivano i cellulari all’esterno del locale. Tra i frequentatori anche il Francolino Spadaro, figlio di don Masino che fella Kalsa è stato il signore. Francolino Spadaro è finito di nuovo nei guai giudiziari.
Frequentazioni, conoscenze ma niente di più concreto per mettere Cangemi sotto inchiesta. È però un questo contesto che avrebbe potuto trovare l’arma con cui ha assassinato il cognato.

