PALERMO – Marzo 2022. Filippo Di Marco, soldato della famiglia mafiosa di Porta Nuova divenuto collaboratore di giustizia, è seduto davanti ai pubblici ministeri Francesca Mazzocco e Andrea Fusco. “So che Matteo Siragusa è all’ippodromo con i cavalli”, racconta. “Che vuol dire?”, gli chiedono i pm. Risposta: “Non so come fa a lavorare lì dentro, so pure che c’è una ditta toscana che hanno preso l’appalto alla Favorita”.
Siragusa è lo storico collaboratore di Mimmo Russo. Ancora il pentito: “… tutti i lavori che prende in quella ditta dentro l’ippodromo, cisterne, cose d’acqua, motori d’acqua, lui glieli faceva prendere dove lavoravo io, ditta elettromeccanica dove ero io in semilibertà”.
Ingerenza sull’ippodromo
Le parole del collaboratore aprono uno squarcio sull’ingerenza dell’ex consigliere comunale, arrestato per concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio politico-mafioso sulla società toscana Sipet subentrata nella gestione dell’ippodromo palermitano dopo lo stop imposto dal prefetto per le infiltrazioni mafiose. Sipet si è aggiudicata il bando del Comune di Palermo.
Altro segnale. Nel pieno della campagna elettorale per le elezioni del 2022 Gregorio Marchese, figlio di un killer di Cosa Nostra, finito ai domiciliari nello stesso blitz che ha coinvolto Mimmo Russo, sapeva di poter disporre a suo piacimento dei locali dell’ippodromo: “… gli devo fare una riunione all’ippodromo... li devo fare riunire tutti in una sala… tutti pezzi di rosticceria mignon, cinquecento persone… gli dico volete andare avanti… Mimmo Russo… altrimenti siamo consumati”.
“Sotto l’influenza di questo”
Dal mese di ottobre 2020 la presenza di Russo e Marchese all’ippodromo diventa costante pur non essendoci alcun motivo ufficiale. “Massimo continua ad essere sotto l’influenza di questi”, sussurrava pochi mesi dopo il direttore dei lavori dell’ippodromo, Francesco Pitruzzella, mentre parlava con Alessandro Martello, imprenditore che cercava di ritagliarsi una parte nell’affare. Il riferimento era all’amministratore Massimo Pinzauti che era “in balia” del duo Russo-Marchese. Mettevano parola “su tutto”.
L’impresa di pulizie
Sarebbero stati loro a scegliere “quello dell’amianto”, e cioè la ditta chiamata a ripulire la struttura dal materiale cancerogeno, e l’impresa di pulizie. Per quest’ultimo servizio fu assegnato un incarico provvisorio all’imprenditore Antonino Domino (si tratta del padre di Claudio Domino, ucciso per motivi mai chiariti nel 1986 ad appena 11 anni, con un colpo di pistola alla testa, mentre stava giocando in una strada di San Lorenzo).
“Se gli dai il pane”
Mimmo Russo lo informò che alla Sipet era stato assegnato un finanziamento pubblico di oltre due milioni di euro, inserito nella legge finanziaria di fine anno. Le fatture di Domino potevano essere pagate e i dipendenti assunti.
Perché erano i posti di lavoro a stare a cuore a Mimmo Russo per alimentare il suo bacino elettorale: “Vedi che ho tre persone che ti ho mandato e sono scritti uno appresso a un altro.. appena io ti dico ok, tu vieni con me, devi firmare il contratto, che li dobbiamo sistemare un po’ di persone… tu stavolta fai il contratto come ti dico io… quanti dipendenti hai Domino? Hai cinquanta sessanta dipendenti e sono ragazzi sposati che hanno famiglia no?… e allora cominciali a preparare che li mettiamo insieme in una saletta e gli facciamo mangiare lo sfincionello e devono dare l’aiuto“.
Domino lo tranquillizzava, Tommaso Natale aveva scelto una persona che “non ha meno, e lo ha sempre dimostrato, meno di centocinquanta voti solo la famiglia e io ho cercato di sistemare proprio loro”.
Russo era fiducioso perché “siccome tu gli dai il pane, se tu gli dai il pane, pure che fosse duro, che questi si lamentano sempre, ma io dico che il pane è sempre buono, anche se glielo dai duro e magari domani ce l’avranno più morbido e più grosso, io ritengo che ti devo ti debbano un riconoscimento”.
L’amico romano
Nella vicenda dell’ippodromo era entrato in gioco Giuseppe Andò, figlio di Achille. Il padre, faccendiere e massone, è finito ai domiciliari. Andò sapeva che al ministero per le politiche agricole avevano firmato il finanziamento da due milioni per l’ippodromo di Palermo. Fu lui a dare la notizia che Gregorio Marchese: Ci dobbiamo vedere, io voglio vedere a Mimmo… ma che fa lo posso chiamare? Lo volevo salutare”.
“La famiglia Andò era interessata a questo finanziamento – annotano gli investigatori – in quanto esso avrebbe creato nella Sipet la provvista necessaria per pagare (non si sa a che titolo) delle somme in favore del fratello Salvatore al quale era stata promessa la gestione del ristorante interno all’ippodromo”.
Achille Andò attribuiva la concessione del finanziamento all’intervento di “un suo amico”, mentre il figlio Giuseppe specificava che nel corso della conversazione avuta con il consigliere della società che gestisce l’ippodromo avevano concordato sul fatto che gli Andò dovessero immediatamente ricevere il pagamento del proprio credito: “I vostri soldi devono rientrare alla velocità della luce”. Andò rievocava gli accordi raggiunti con Pinzauti: “No sono solo i nostri soldi ci mancherebbe che eravamo rimasti in un certo modo con Massimo però non lo so vedremo come si comporterà lui”.
Attorno a Pinzauti ruotavano, dunque, una serie di personaggi. Gli stessi ai quali l’amministratore avrebbe chiesto di intervenire per costringere due professionisti a rinunciare alla parcelle per le prestazioni rese a Sipet. Sono tutti indagati per tentata estorsione.
“Lo metto in un magazzino”
“Lo metto in un magazzino e mi deve rendere conto di tutto”, diceva Marchese su Pinzauti, facendo riferimento ad un patto: “… lui si è seduto a un tavolo con noi e ha detto una fetta è la vostra mi deve dire qual è la nostra fetta… a me interessa solo Mimmo perché se non vinci (si riferiva alle elezioni ndr) siamo fuori dai giochi”.