Palermo: Russo, l'ippodromo, il figlio del boss e le estorsioni

Russo, l’ippodromo di Palermo, il figlio del killer: estorsione a due consulenti

L'ippodromo di Palermo
Nelle carte dell'inchiesta ombre sulla gestione dell'impianto

PALERMO – “Io sono il masaniello oppure Giovanna D’Arco, quindi lo Stato è contro il popolo e io con il popolo”. Così Gregorio Marchese, figlio di Filippo, uno dei più spietati killer di Cosa Nostra, parlava non sapendo di essere intercettato. Marchese è finito ai domiciliari nella stessa inchiesta sull’ex consigliere comunale di Fratelli d’Italia, Mimmo Russo, con le accuse di estorsione e corruzione.

Insieme avrebbero controllato una parte delle attività all’ippodromo di Palermo. Dopo un’interdittiva antimafia la gestione della struttura era stata messa a bando dal ministero dell’Agricoltura. Ad aggiudicarselo la toscana Sipet. Marchese diceva ironicamente: “Noi lo facciamo solo per filantropia, per amore verso la città”.

Sulla gestione dell’ippodromo il giudice per le indagini preliminari Walter Turturici punta il dito anche contro Massimo Pinzauti, procuratore generale della Sipet, che avrebbe consentito a Marchese e Russo di diventare il loro braccio operativo a Palermo. Il dirigente, secondo gli inquirenti, non si sarebbe fatto scrupolo di usare le intimidazioni mafiose di Marchese per far rinunciare due professionisti a riscuotere i loro crediti verso la Sipet. Marchese in passato è stato assolto dall’accusa di mafia ma sottoposto alla sorveglianza speciale. Si vantava della parentela con il padre ergastolano, a cui amava associarsi autodefinendosi “il sanguinario”.

“Gli fai mangiare il contratto”

Nel mirino sarebbero finiti il direttore tecnico dell’ippodromo e un consulente pubblicitario. Pinzauti aveva deciso di liberarsi del primo, un ingegnere, anche con le maniere forti: “Se le risposte non arrivano entro oggi come si era detto piglia Gregorio (Gregorio Marchese ndr) sul motorino va dove va a cercarlo e gli fa tutto il lavoro che deve e gli porta via tutti i documenti perché gli ho detto a Gregorio io gli ho fatto un contratto a questa persona e tu glielo fai mangiare il contratto per benino e tu gli prendi tutta la roba che ci deve dare, finita la storia”.

Non avrebbero mollato la presa, “come quando ti abbracci uno sai? Non l’abbandonano”. Alla fine l’ingegnere fu sollevato dall’incarico e costretto, secondo l’accusa, a rinunciare a circa ottomila euro di compenso. L’intervento di Marchese si era fatto “pesante”, il professionista avvertì “una certa pressione” e si fece da parte.

“Novemila euro? No, gliene diamo mille”

A novemila euro ammontava, invece, la parcella del consulente per la pubblicità che alla fine, su pressione di Marchese e Russo, si sarebbe accontentato di appena mille euro. Pinzauti lo voleva mandare via perché “mi sta sui c…”. Intervenne Marchese: “Gli ho detto visto che tu vuoi un fiore simbolico ti faccio dare mille euro”.

E Mimmo Russo: “Basta si chude, ti vorrei suggerire chiuso questo contratto che abbiamo non ne fare altri”. All’inizio il consulente era titubante di fronte alla proposta nettamente al ribasso. La reazione di Pinzauti fu veemente: “Voglio che Mimmo o chi cazzo sono glieli facciano levare”. Il consulente disse ai carabinieri di avere fatto un passo indietro e di avere saputo che Marchese era un uomo “terribile”.

“Una fetta è vostra

Marchese, Russo e il collaboratore del politico, Matteo Siragusa, erano una presenza costante all’ippodromo. A che titolo? La Procura di Palermo e carabinieri del Nucleo investigativo hanno seguito il loro interesse per la gestione della struttura sin dalle battute iniziali. Russo sapeva che “stavano arrivando due milioni inseriti nella finanziaria” nazionale. Sull’ippodromo avevano grandi progetti. E Pinzauti sarebbe stato costretto ad assecondarli.

“Lo metto in un magazzino e mi deve rendere conto di tutto”, diceva Marchese. Che faceva riferimento ad un presunto patto: “… lui si è seduto a un tavolo con noi e ha detto una fetta è la vostra mi deve dire qual è la nostra fetta… a me interessa solo Mimmo perché se non vinci (si riferiva alle elezioni ndr) siamo fuori dai giochi”. E nel frattempo facevano riferimento a personale già assunto e altro da fare assumere, direttamente o indirettamente attraverso ditte esterne che lavoravano all’interno dell’impianto.


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