"Irregolarità al Cala Levante": prescrizioni e assoluzioni - Live Sicilia

“Irregolarità al Cala Levante”: prescrizioni e assoluzioni

Era uno dei locali più noti della città

PALERMO – Per quattro imputati è intervenuta la prescrizione. In due vi avevano rinunciato ed è arrivata un’assoluzione nel merito.

Sotto processo c’erano dirigenti regionali e comunali, e i responsabili della “Punta Levante srl” per i presunti illeciti commessi nella realizzazione del “Cala Levante Sea lounge club’ sul lungomare Cristoforo Colombo, all’Addaura.

Gli assolti sono Giovanni Arnone, ex dirigente generale del dipartimento regionale dell’Ambiente, e Andrea Schirò, responsabile del procedimento ed ex dirigente dello sportello unico per le attività produttive del Comune di Palermo.

I loro legali, gli avvocati Claudio Gallina Montana, Vito Agosta e Ottaviano Pavone, erano certi di poter dimostrare l’estraneità degli imputati che, circostanza rara, avevano rinunciato alla prescrizione.

Prescrizione dichiarata per Salvatore Grassedonio, dipendente comunale e responsabile del procedimento, Bohuslav Basile, allora dirigente del Suap, Luca Insalaco, dipendente presso l’assessorato regionale al Territorio e legale rappresentante dell’associazione sportiva “Okeanos”, Lucietta Accordino, ex dirigente del settore urbanistica ed edilizia del Comune di Palermo, Marco Misseri, amministratore unico della società “Punta Levante srl”.

I funzionari pubblici erano imputati per abuso d’ufficio, mentre il gestori del locale per reati ambientali e per avere eseguito opere in assenza di autorizzazione.

L’inchiesta nel 2016 portò al sequestro del locale per difformità urbanistico-edilizie e mancato rispetto delle norme di tutela del paesaggio e dei vincoli ambientali della scogliera dell’Addaura.

L’area demaniale fu concessa alla società sportiva Okeanos (di cui Insalaco era socio) per realizzarvi uno stabilimento balneare; a sua volta la Okeanos affidò la gestione dello stabilimento alla “Punta Levante” che vi impiantò un’attività di ristorazione violando, secondo l’accusa, il divieto del Comune e aggirando le limitazioni della Soprintendenza regionale ai Beni culturali e architettonici. Nell’area, sottoposta a vincoli paesaggistici, furono realizzati alcuni manufatti entro il limite di inedificabilità fissato a 150 metri dal mare.


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