Palermo, i boss, il teste: i perché della condanna di Miccoli-Luricella

Palermo, i soldi, il teste: Miccoli-Luricella, la motivazione

Ecco perché stato condannato il figlio del boss e amico dell'ex calciatore

PALERMO – Le intercettazioni, il racconto di un testimone e il “pagamento” per il lavoro sporco. Sono i tre pilastri su cui si regge la sentenza di condanna definitiva con cui la Cassazione ha inflitto sette anni di reclusione a Mauro Lauricella. Ed è stata questa sentenza, di fatto, a portare alla condanna di Fabrizio Miccoli.

Fu per conto dell’ex calciatore dei di Palermo, Juventus e Benfica che Lauricella, figlio di un boss del rione Kalsa, si attivò per recuperare un credito vantato da un amico del numero 10 che da qualche giorno si trova in carcere a Rovigo per scontrare la condanna a tre anni e mezzo.

La Cassazione ha reso definitiva la ricostruzione della Procura di Palermo, secondo cui Lauriella agì con metodo mafioso connotato dalla violenza.

Violenza mafiosa

“Da una conversazione intercettata risultava, per bocca dello stesso imputato, che in uno degli incontri preliminari alla riunione decisiva avvenuta nel retrobottega di un ristorante del quartiere Kalsa di Palermo – scrivono i giudici – egli aveva usato anche violenza fisica nei confronti del Graffagnini (Andrea Graffagnini è la vittima dell’estorsione, ndr) finalizzata all’ottenimento del pagamento per la questione di interesse”.

Il testimone oculare

Un testimone oculare ha riferito che “alla riunione della Kalsa erano presenti alcuni personaggi di alta caratura criminale e mafiosa – ‘persone grandi’ – uno dei quali, non identificato con certezza, era intervenuto per risolvere la questione facendo espresso riferimento al fatto di trovarsi in quel luogo in quanto chiamato dall’imputato (e non da altri) ed in ragione della sua amicizia con il padre di quest’ultimo, soggetto pacificamente appartenente all’associazione mafiosa Cosa Nostra in quel momento latitante”.

I soldi per il lavoro sporco

Infine ci sono due conversazione del 2011 in cui Lauricella riferiva “alla persona offesa di avere intascato somme da consegnare al Gasparini (era il fisioterapista del Palermo per conto del quale Miccoli si interessò di risolvere la faccenda ndr) ammontanti ad almeno 10 mila euro, confidando alla propria madre di avere trattenuto per sé quattromila
euro”.


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