PALERMO- La stanza di Giulio è rimasta quasi intoccata, come nella sua ultima notte su questa terra. Ci sono il suo letto rifatto, la sua scrivania, gli attrezzi visivi di un adolescente-artista – era un drago a disegnare – appesi alle pareti. In quella notte di settembre di un anno fa, Giulio Zavatteri, appena diciannovenne, fu ucciso dalla sua dipendenza dal crack. Un anno dopo, suo padre Francesco – un farmacista catapultato, suo malgrado, alla ribalta della cronaca del dolore – non ha smesso di lottare. E non smetterà mai. Si è impegnato per la creazione della Casa di Giulio, un centro a bassa soglia di ascolto e accoglienza, per contrastare l’attività di spaccio nella piazza a cielo aperto di Ballarò. Ha raccolto fondi, ha pungolato le istituzioni. (nella foto di copertina, una bottiglietta per il crack a scuola)
“Il Comune ha fatto qualcosa, ma aspettiamo la svolta – dice Francesco –. Ci vuole la collaborazione di tutti. Io ho perso un figlio e, paradossalmente, posso dire che non devo più difendere la mia famiglia dall’evento terribile che si è già verificato. Ma sono sempre un padre che ha visto morire il suo ragazzo e che vuole salvare gli altri figli. Incontro, ogni giorno, genitori disperati che si rivolgono a me, che chiedono che si agisca. Prima si parte, prima si arriva”.
“Guarderemo altri ragazzi morire”
“Le persone di buona volontà non mancano – continua il dottore Zavatteri -. Un medico ha messo a disposizione il suo ambulatorio per le famiglie e i giovani che vivono questo tremendo problema. C’è un disegno di legge, che è stato presentato, grazie al parlamentare regionale Ismaele La Vardera, per organizzare una risposta concreta. Ringraziamo la professoressa Clelia Bartoli e il suo dipartimento di Giurisprudenza per averlo redatto, come sarò sempre grato al nostro arcivescovo, Don Corrado, per la vicinanza e l’impegno. Lo spaccio e il crack continuano a essere una emergenza. Se non si interviene, guarderemo altre ragazze e altri ragazzi morire e non potremo evitarlo. La dipendenza è una patologia, non una colpa. Ma noi abbiamo il dovere di combattere un mercato di morte gestito dalla mafia. Il senso di vuoto lasciato da Giulio è incolmabile. Anche nella sua condizione di persona distrutta dalla dipendenza, Giulio amava e si lasciava amare”.
La convocazione in commissione
Ismaele La Vardera, dal canto suo, fa il punto sul versante politico della questione: “Sono passate diverse settimane dalla presentazione del Ddl che noi, come Intergruppo contro le droghe, abbiamo ricevuto dalla mani dell’arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice. Disegno che hanno scritto le migliori intelligenze che sul campo stanno affrontando la lotta al crack e alle dipendenze. La politica adesso deve fare presto e far sì che si trasformi in legge. Per tale ragione ho richiesto al presidente dell’Ars, Gaetano Galvagno, che venga calendarizzato con estrema urgenza. Finalmente, in qualità di primo firmatario, ho ricevuto convocazione presso la Commissione Sanità, per martedì 19 settembre. Spero che nessuno voglia annacquare o depotenziare un appuntamento così importante”.
La battaglia di un sacerdote
No, non mancano davvero le persone di buona volontà, come don Enzo Volpe (in primo piano nella foto che segue), prete, ‘figlio di don Bosco’: “Il camper del Comune e dell’Asp, che si è attivato e che va in giro, ogni giorno, è una risorsa in più, soprattutto per la riduzione del danno – dice don Enzo -. C’è una quantità incredibile di giovani che passa da Ballarò per rifornirsi di crack. Qualcosa di atroce che, oltretutto, soffoca un quartiere con mille potenzialità, che inghiotte il meglio, come un buco nero. Quotidianamente va in scena un mercato di morte, nessuno può restare indifferente. L’importanza della rete con le istituzioni, soprattutto in campo sanitario, è fondamentale. La dipendenza dal crack, nei suoi effetti, è un problema sanitario che spesso viene affrontato in modo sbagliato con protocolli non aggiornati”.
Il dramma dei genitori
Nino Rocca, anche lui impegnato, da anni, in tutte le sfide che valga la pena di affrontare, segue l’associazione Sos Genitori che si incontra, ogni settimana, e che raccoglie famiglie con giovanissimi prigionieri della droga.
“Con noi ci sono circa una trentina di nuclei – dice Nino –. Non vengono tutti insieme, ma è importante che ci sia un luogo dove si può parlare e ascoltare. Ci sono genitori che non hanno più notizie delle figlie e dei figli. Molti di queste ragazze e ragazzi non stanno più a casa. Dobbiamo avere centri e competenze in grado di fornire una doppia diagnosi, sapendo che la dipendenza si associa, spesso, a una patologia psichiatrica. Chi incappa nella rete non è una persona da punire, uno che se l’è andata a cercare. Si tratta di situazioni in cui è necessaria la comprensione della fragilità”.
“Abbiamo bisogno di unità di crisi che siano organizzate, sul territorio – spiega ancora Nino Rocca (in piedi nella foto) –. Veniamo a conoscenza di storie atroci: ragazze che sono indotte alla prostituzione dal pusher, che vengono schiavizzate. Il business per la mafia è enormemente redditizio e va avanti”. Nelle piazze di spaccio a cielo aperto, sotto gli occhi di tutti.