PALERMO – “Tu devi votare, che i figli di quelli in galera devono entrare”, diceva Mimmo Russo. Si fidava solo dei “cristiani”. E cioè dei mafiosi. Ed è con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio politico-mafioso, oltre che per estorsione aggravata e concorso in corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, che è finito in carcere l’ex consigliere comunale per decenni al fianco dei precari nella battaglia per la stabilizzazione.
Arresti domiciliari per Gregorio Marchese e Achille Andò. Il primo è il figlio di uno storico capomafia palermitano, il killer Filippo Marchese detto milinciana, e fa l’agente immobiliare dopo essere stato assolto dall’accusa di mafia; il secondo è considerato un faccendiere, iscritto alla loggia massonica del Grande Oriente d’Italia. La richiesta del procuratore Maurizio de Lucia, dell’aggiunto Marzia Sabella e del sostituto Andrea Fusco è stata accolta dal giudice per le indagini preliminari Walter Turturici.
“Favori in cambio di voti”
Quello ricostruito dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo e dai carabinieri del Nucleo investigativo del Comando provinciale è uno spaccato malsano di favori in cambio di sostegno elettorale (in passato Russo era stato denunciato per corruzione elettorale). Sedici anni a Sala delle Lapidi, prima consigliere di quartiere, Mimmo Russo è uno dei nomi più conosciuti della destra cittadina (in una breve finestra ha appoggiato anche il sindaco Leoluca Orlando): per ultimo è approdato in Fratelli d’Italia ma nel 2022 non è stato eletto.
Quattro mandati elettorali in cui, secondo l’accusa e i tanti pentiti che lo tirano in ballo, ha goduto sempre dell’appoggio dei mafiosi. Contatto trasversali, i suoi, da Borgo Vecchio allo Zen, da Porta Nuova alla Marinella, da Partanna Mondello a Corso dei mille e Brancaccio.
La cooperativa sociale
In cambio Russo avrebbe promesso e dato posti di lavoro a uomini di Cosa Nostra, ai loro familiari o a persone da essi indicati entrati nell’orbita di cooperative e associazioni finanziate con fondi pubblici. Su tutte la Trinacria Onlus, dove in passato tra gli ex Pip figuravano uomini del boss di Porta Nuova Alessandro D’Ambrogio, come Tonino Seranella braccio destro del capomafia.
Il centro del potere di Mimmo Russo è stato il Caf di corso Domenico Scinà, nel cuore del rione Borgo Vecchio dove – ed è un’altra contestazione – accoglieva a lavorare mafiosi a cui serviva un posto per ottenere la scarcerazione con l’affidamento in prova ai servizi sociali. È accaduto ad esempio con Antonino Siragusa, condannato per l’omicidio dell’avvocato Enzo Fragalà, che lo ha accusato una volta divenuto collaboratore di giustizia.
Longa manus al Comune
I voti non erano gratis: Russo avrebbe messo a disposizione dei mafiosi soldi, buoni benzina e generi alimentari da distribuire agli elettori. Altre volte avrebbe promesso la sponsorizzazione delle feste di quartiere, occasione in cui i mafiosi si gonfiano il petto nelle borgate della città. Oppure si sarebbe fatto in quattro per fare assumere i parenti dei mafiosi in una catena di supermercati.
L’accordo malsano con la mafia si sarebbe concretizzato anche quando Russo ha ricoperto il ruolo di presidente della Commissione urbanistica del Consiglio comunale di Palermo. Ci sarebbe la sua mano nel tentativo di dare il via libera ad un nuovo centro commerciale nel rione Roccella, accanto al Forum, e nella modifica della destinazione di uso di una zona agricola a fondo Micciulla nella zona di Altarello di Baida. Quest’ultima e l’affare del centro commerciale stavano a cuore a due società immobiliari di cui Andò era consulente.
Ingerenza nell’ippodromo
Un capitolo dell’inchiesta riguarda la presunta ingerenza di Russo nella Sipet, la società che ha rilevato la gestione dell’ippodromo di Palermo. Russo e Marchese sono indagati per estorsione: avrebbero costretto, “su mandato dell’amministratore delegato Massimo Pinzauti”, due professionisti a rinunciare ai soldi delle parcelle che vantavano dalla società.