PALERMO – Per molti quella del processo non è un’esperienza nuova. Sotto accusa lo sono già stati ed hanno finito di scontare lunghe pene. Come Francesco e Massimo Mulè, padre e figlio. I due boss di Porta Nuova sarebbero tornati a comandare nella zona di Palermo centro. Il loro regno è da sempre Ballarò. Per loro e per altri sedici imputati i pubblici ministeri Giovanni Antoci, Luisa Bettiol e Gaspare Spedale ha chiesto il rinvio a giudizio. L’udienza preliminare inzierà il 15 novembre.
I Mulè avrebbero organizzato una squadra di gregari, uomini del racket e picciotti della manovalanza. Gli altri imputati sono Gaetano Badalamenti, Francesco Lo Nardo, Giuseppe Mangiaracina, Alessandro Cutrona, Calogero Naso, Salvatore Gioeli, Antonio Lo Coco, Alessandro Adamo, Antonino Pisano, Simone Abbate, Salvatore Maddalena, Giovanni Maddalena, Giuseppe Campisi, Giuseppe Civiletti, Salvatore D’Atria, Giuseppe Castelli.
Francesco Mulè era tornato libero nel 2018. Stava scontando l’ergastolo per omicidio. L’inaspettata finestra di una legge, la Carotti, mandata presto in soffitta, gli consentì di tornare libero dopo dopo 23 anni trascorsi in cella. Anche il figlio Massimo ha vecchie condanne a cui se ne sono aggiunte delle altre. La più pesante quella nel processo “Cupola” sulla nuova mafia. Assolto in primo grado e condannato in appello. C’era chi lo chiamava “il puparo”.
Vecchia conoscenza è anche Badalamenti che si porta dietro una scia di soprannomi: “Zio”, “il romano”, “Mangeskin”. Ha riportato condanne irrevocabili per associazione mafiosa, rapina, ricettazione, estorsione, sequestro di persona, traffico di droga e armi. Sarebbe tornato ad occuparsi di estorsioni. Stessa cosa anche Gioeli, meglio conosciuto come “Mussolini” che ha nella sua fedina penale due condanne definitive per mafia ed estorsione a 11 anni e 4 mesi e 17 anni.
Quest’ultimo raccontava di avere contestato ai Mulè di “fottersi i soldi”. Non gli piaceva neppure la divisione dei guadagni. “Duecento” a chi comanda e “noialtri 80. Ma, nooo: 200 e noialtri 10”. Ai gregari restavano gli spiccioli, seppure facessero il grosso del lavoro e si sentissero “pari merito” dei capi. “Però… però si va allo scontro”, diceva Gioeli. Mangiaracina riportava il discorso alla realtà magra: altro che “scontro, questo è campare”.
Sotto processo davanti al giudice per l’udienza preliminare Angela Lo Piparo ci sono anche coloro che avrebbero gestito la riffa, una forma di pizzo mascherato. Commercianti e bottegai sarebbero stati costretti a comprare i biglietti per le estrazioni da Alessandro Cutrona e Leonardo Marino.