Palermo, mafia: perché è stato condannato il "puparo" di Porta Nuova - Live Sicilia

Palermo, mafia: perché è stato condannato il “puparo” di Porta Nuova

Verdetto ribaltato per Massimo Mulè
LA MOTIVAZIONE
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PALERMO – Per alcuni era il “puparo” che reggeva i fili a Ballarò. “Successivamente alla scarcerazione Mulè ha persistito nell’adesione al sodalizio mafioso continuando, non solo a partecipare all’attività tipica dell’organizzazione ma financo svolgendo un ruolo apicale all’interno della specifica articolazione di Ballarò”. Inizia così la parte della motivazione della sentenza che ha ribaltato il verdetto di assoluzione per Massimo Mulè. Lo scorso dicembre la Corte di appello lo ha condannato a 11 anni e 4 mesi. È stata la novità più importante rispetto al giudizio di primo grado del processo “Cupola”, nato dal blitz che nel 2018 ha azzerato il tentativo di ricostruire la commissione provinciale di Cosa Nostra.

I pentiti

Sono tanti gli elementi che i giudici hanno rivalutato. Innanzitutto le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Francesco Chiarello del Borgo Vecchio nel 2015 ha raccontato di avere saputo da un altro detenuto, Antonio Serenella, che “non appena uscito dal carcere Massimo avrebbe preso il ruolo di capo”. Sergio Macaluso di Resuttana ha raccontato che l’imputato gli fu presentato “in una pescheria come reggente della famiglia mafiosa di Ballarò”.

Il boss intercettato

I carabinieri nel 2016 hanno registrato i colloqui in carcere di Paolo Calcagno, reggente del mandamento di Porta Nuova, con la moglie e i figli. Dicevano che Massimo Mulè era subentrato al fratello Salvatore. Rubens D’Agostino, altro uomo d’onore della zona, senza sapere di essere intercettato, riferiva che Massimo Mulé aveva speso il suo peso affinché i pescivendoli di Ballarò saldassero alcuni debiti con un fornitore. Anche Francesco Colletti, boss di Villabate, prima di pentirsi diceva: “… noi dobbiamo riconoscere a Massimo più di tutti questi messi assieme”.

Il “puparo” ben voluto da tutti

In effetti anche Vito Galatolo, boss pentito dell’Acquasanta, ha confermato che si parlava un gran bene di Mulè: “Si aspettava che lui uscisse perché ci dovevano dare tutte cose a lui nelle mani perché è una persona molto carismatica, stimato da tutti gli uomini Cosa Nostra, tutta Palermo, era un ragazzo educatissimo”.

Alfredo Geraci, altro pentito di Porta Nuova, ha riferito le parole sapute da un boss: “Tommaso Lo Presti disse che da quel giorno c’era lui a Palermo centro e Salvo Mulè responsabile del quartiere Ballarò… dietro le quinte c’è sempre stato Massimo, lui è stato sempre un puparo… se Massimo Mulè è fuori non c’è nessuno che può prendere il posto di Massimo Mulè… anche se esce attualmente Alessandro D’Ambrogio”.

Geraci ha pure aggiunto che sarebbe stato Mulè a commissionargli l’atto intimidatorio subito da un commerciante di via Dalmazio Birago. Furono esplosi diversi colpi di pistola contro la saracinesca per convincerlo a pagare, era “un segnale perché si comportava male”.


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