Palermo, radiologo aiutò Messina Denaro e rischia il carcere

Il radiologo rischia il carcere, ora tanti “amici” di Messina Denaro tremano

La Corte di Cassazione ha messo un paletto

PALERMO – Episodi solo apparentemente minori, che acquisiscono una rilevanza penale enorme per la persona che ne ha beneficiato.

Se quella persona si chiama Matteo Messina Denaro anche la consegna di un cellulare, e dunque una linea telefonica pulita e sicura durante la latitanza, può dimostrare che un indagato fa parte di Cosa Nostra.

Così scrive la Cassazione nella sentenza che ha annullato con rinvio l’ordinanza con la quale erano stati concessi gli arresti domiciliari al tecnico radiologo Cosimo Leone. Un nuovo Tribunale del Riesame dovrà rivalutare la sua posizione e ora rischia di tornare in carcere.

La sentenza della Cassazione fissa un paletto per tutti coloro che sotto processo lo sono già e per gli altri che lo saranno. Le indagini sulla rete di fedelissimi del padrino di Castelvetrano non si sono fermate con la sua morte. È lecito attendersi nuovi sviluppi.

Lo scorso marzo era stato arrestato Cosimo Leone, in servizio all’ospedale Abele Ajello di Mazara del Vallo. Un mese dopo il Tribunale del Riesame gli aveva concesso gli arresti domiciliari riqualificando il reato da associazione mafiosa in favoreggiamento aggravato. Era stato accolto il ricorso degli avvocati Roberto Tricoli, Giuseppe Pantaleo e Massimiliano Miceli.

La trafila sanitaria di Messina Denaro

Leone avrebbe avuto un ruolo nella trafila sanitaria di Messina Denaro che ha scoperto di avere un tumore con una colonscopia effettuata a Marsala il 3 novembre 2020. Il 6 novembre riuscì a farsi visitare subito da un chirurgo dell’ospedale di Mazara del Vallo e a ricoverarsi il 9 novembre per operarsi.

Ad accompagnarlo c’era sempre Andrea Bonafede, l’operaio comunale poi arrestato e condannato per favoreggiamento aggravato. Anche per quest’ultimo la Procura di Palermo chiedeva la condanna per mafia. Ora è in corso il processo di appello dove l’accusa cercherà di dimostrare che l’imputato fa parte di di Cosa Nostra.

Leone sempre di turno

Il gancio interno e riservato nella struttura sanitaria sarebbe stato Leone. Il 10 novembre, in vista dell’intervento chirurgico, il latitante ha eseguito una Tac all’addome. Era stata programmata all’inizio per il 20 novembre ma fu anticipata prima al 17 e infine al 10. Era presente Leone che si sarebbe fatto cambiare il turno per esserci.

E sarebbe stato sempre Leone, il 14 novembre, a consegnare al latitante un nuovo cellulare per mettersi in contatto con Bonafede. Tutti questi passaggi, secondo la Direzione distrettuale antimafia , sono emblematici della partecipazione di Leone all’associazione mafiosa. Di diverso avviso il Tribunale del Riesame.

Cosa diceva il Riesame

Premettendo che da sola l’assistenza sanitaria offerta a Messina Denaro non è un reato – va garantita a tutti i cittadini – il Riesame aveva sostenuto che Leone avesse creato “soltanto” un canale privilegiato con Bonafede.

I giudici del Riesame, dopo aver affermato che il contributo fornito dall’indagato al latitante fu del tutto episodico, lo bollava comunque di “particolare gravità”, usando parole come “allarmante disponibilità nei confronti del sodalizio mafioso”. La Procura di Palermo ha fatto ricorso in Cassazione contro la concessione degli arresti domiciliari.

Alla fine, si legge nel provvedimento della Cassazione, “in modo contraddittorio, ha ritenuto superabile la presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere” concedendo i domiciliari.

“Messina Denaro indiscusso vertice”

Il cuore del ragionamento dei supremi giudici è nel passaggio in sui scrivono: “Leone non prestò aiuto ad un qualsivoglia partecipe e, neppure, ad uno degli apici dell’associazione criminale Cosa Nostra, notoriamente organizzata in senso piramidale, bensì al suo indiscusso vertice, da lungo tempo ricercato in quanto latitante”.

Il passaggio di un cellulare, un’operazione che si ripete nella quotidianità delle persone. Quella volta però nulla c’era di normale perché il telefono serviva ad uno stragista sanguinario, in fuga da decenni e ricoverato sotto mentite spoglie.

“La logica conseguenza di tale premessa fattuale è che l’apporto (consapevolmente) fornito alla persona di Messina Denaro – scrive la sesta sezione della Cassazione (presidente Pierluigi Di Stefano, Ombretta Di Giovine Relatore) non poteva non tradursi in un (altrettanto doloso) contributo, dotato di rilievo causale-condizionalistico, all’associazione da questi capeggiata (la quale, come osservato nel ricorso del Pubblico Ministero, sarebbe stata messa a repentaglio dall’arresto del suo capo indiscusso)”.

È un principio importante che rischia di complicare la posizione degli imputati già finiti sotto processo per favoreggiamento e gli altri che hanno aiutato Messina Denaro i cui nomi non sono ancora venuti a galla. Hanno creduto di avere svolto piccole parti, ma forse non è andata così. Una questione che riguarda il mondo sanitario e non solo.


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