“Palermo mio, la serie A non può più aspettare e nemmeno io… Ho ottantacinque anni, sono in buona salute. Però, facendo gli scongiuri, prima o poi… Ecco perché desidero la promozione quest’anno, anzi la pretendo. Secondo me siamo sulla giusta strada”.
Non c’era niente di meglio da fare che andare alla fonte di un amore rosanero, per raccontarlo, a poche ore dall’incipit. Nessuno più del Maestro Benvenuto Caminiti, scrittore, tifoso, giornalista, autore di pagine memorabili, è adatto alla narrazione.
La sua scrittura e il suo sguardo sono stati, negli anni, e rimangono, origine di ispirazione per chi voglia campare, mettendo insieme le parole. La sua leggendaria e notissima passione per il Palermo non conosce confini, unita a una profondità di analisi mai banale.
La casa di Ben ha un soggiorno squadernato alla luce e alla penombra. La foto che scattiamo a lui e ai suoi libri assume tonalità in chiaroscuro. Ci sono sistemi per levigare e aggiungere luminosità, ma perfino la colorazione offre una verità, oltre le cose, e va lasciata al naturale. Dal guizzare di ombre e chiarori verrà fuori l’esito del campionato attesissimo di serie B. Stasera, Palermo-Reggiana sarà una prima festa di popolo. Nella speranza che altre ne seguano, fino all’agognatissima promozione in serie A.
Benvenuto, sei stato in ritiro.
“Sì, mi ha travolto l’affetto di alcuni tifosi e amici che, praticamente, mi hanno sollevato fino alla Valle d’Aosta. Ringrazio in particolare Lavinia, una persona meravigliosa, generosissima, proiettata esclusivamente nel costruire il bene del prossimo”.
Che Palermo è?
“Una squadra fortissima, la più forte del campionato, accreditata per una stagione al massimo dei vertici. Non ho dubbi e non posso più attendere. Andremo in serie A, ne sono convinto. Ovviamente, lo dico con gli scongiuri di rito. La rosa è completa in tutti i reparti e può contare quasi su due formazioni, l’allenatore è quello giusto ed è stato fatto tesoro degli errori del passato. Se non vinciamo, significa che c’è una maledizione”.
C’è stato, dopo l’infortunio di Gomis, il problema del portiere che sembra risolto tra Bardi e Joronen.
“Io avrei puntato sul giovane Desplanches e non l’avrei dato in prestito. Ha giocato da campione con l’Under 21, nell’ultimo Europeo. Mi è sembrato padrone della scena e sicuro, oltre al risaputo bagaglio tecnico. Ho un debole per Desplanches che è un ragazzo umile. Adesso, siamo al completo. Schiererei Bardi, una assoluta garanzia”.
Come hai visto, da vicino, Pippo Inzaghi, l’allenatore prescelto per trasformare il sogno in realtà?
“Te lo confesso: prima che venisse al Palermo, Pippo Inzaghi mi stava solennemente antipatico”.
Ahi! E perché mai?
“Non tanto per il giocatore che è stato, ma perché, come tecnico, ha dato più di un dispiacere al mio Palermo. E io quelli che vincono contro di noi non li sopporto e non li perdono. Sono un tifoso. Se perdiamo, quasi nemmeno riesco a scrivere”.
Ti capisco. Poi che è successo?
“Intanto è diventato l’allenatore rosanero, ti pare poco? Infine, ho notato con quanta bravura favorisca la compattezza dell’ambiente e lo rassicuri. In ritiro è stato veramente perfetto. Parliamo di uno specialista della categoria. A Cremona, in Coppa Italia, la sua impronta è stata già netta: sarà molto difficile segnarci. Sono estremamente fiducioso”.

Piccola pausa. La gentilissima Signora Cettina, moglie di Benvenuto, offre cortesemente il caffè. Nel salone, oltre ai libri firmati dallo scrittore-tifoso – un vasto campionario di delizie e di premi – spiccano le foto familiari. Non mancano gli adoratissimi gatti, da tempo accoccolati sul Ponte dell’arcobaleno. Ed è logico che, girando lo sguardo, il discorso finisca sulla famiglia, con i miti del passato.
Covate la letteratura nel sangue voi Caminiti. Tuo fratello Vladimiro, stella giornalistica di prima grandezza, non ha bisogno di ulteriori prefazioni.
“Sì, è vero. Nella nostra casa c’era una immensa scrivania. Vladimiro, nove anni più grandi di me, era sempre lì che scriveva cronache sportive in erba su un quadernetto nero. Poi, infilava le sue carte in un cassetto chiuso con un catenaccio. ‘Vladimiro, posso leggere?’. ‘No, lascia stare…’. Un giorno dimenticò di sbarrare il lucchetto. Mi avventai su quei fogli. La scintilla scoccò lì”.

Che ricordo hai di lui?
“Era un fuoriclasse assoluto. In un certo senso, mi aveva selezionato come complice letterario. La sera tornava: ‘Benvenuto, dormi?’. Ero sveglio. E mi recitava una poesia a memoria. Abbiamo vissuto un rapporto molto intenso che ho racchiuso nel mio libro ‘Ciao Vladimiro’. Mi ha trasmesso il bacillo del calcio e della scrittura”.
La prima meraviglia rosanero?
“Il Palermo contro il Torino di Superga. Ero un bambino. Mi infilai allo stadio. Vidi la maglia e mi innamorai”.
Tu e Vladimiro giocavate a calcio, naturalmente…
“Lui era un ottimo portiere: bassino, ma volava alla grande. Io ero una mezzapunta di talento. Giocavo al campetto di via Sampolo. Ricordo una partita, una finale mitica tra noi del liceo ‘Garibaldi’, ero il capitano, e gli altri del liceo ‘Cannizzaro'”.
Chi vinse?
“Loro, per uno a zero. Il gol lo marcò Tanino Troja di testa”.
Sono i frammenti di un tempo mitologico, sbocconcellato e narrato. Scendevi in campo e avevi davanti Tanino Troja, centravanti di un Palermo indimenticabile.
Chi è il tuo amico di pallone e del cuore?
“Ignazio Arcoleo. Un allenatore eccezionale, un uomo generosissimo che ha perso delle occasioni importanti pur di restare qui”.
Benvenuto, ci rivediamo per un caffè tra un anno in serie A?
La risposta è un ‘sì’. Con un sorriso da adolescente felice. E un’ultima preghiera: “Palermo, non deludermi più”.

