Palermo, l'omicidio di Claudio Domino: inchiesta archiviata

L’omicidio di Claudio Domino: inchiesta archiviata. Nessuna verità

Il bambino aveva 11 anni

PALERMO – Il giudice per le indagini preliminari Lorenzo Chiaramonte ha archiviato l’inchiesta sull’omicidio di Claudio Domino. Il Gip ha dichiarato inammissibile l’opposizione dei familiari del bimbo di 11 anni, assassinato la sera del 7 ottobre 1986 in via Giovanni Fattori, a Palermo.

Pochi minuti prima delle 21 una moto di grossa cilindrata, probabilmente una Kawasaki, arrivò davanti al civico 24 della strada del rione San Lorenzo. Un uomo che indossava il casco integrale esplose un solo colpo di pistola calibro 7.65 da distanza ravvicinata al volto del bambino.

Un omicidio allo stato destinato a restare senza colpevoli. Come anticipato nel luglio scorso da LiveSicilia la Procura della Repubblica, che ha riaperto il caso nel 2021, aveva chiesto la chiusura del fascicolo a carico di ignoti.

Il procuratore aggiunto Marzia Sabella e il sostituto Giovanni Antoci lo avevano riaperto accogliendo l’appello dei genitori del piccolo Claudio, il padre Antonino e la madre Graziella Accetta. Un’indagine finita nella palude.

I pm hanno ricostruito pezzi di verità finora inediti. “Ehi tu, vieni qui”, disse il killer a Claudio prima di fare fuoco. Un amichetto corse ad avvisare i parenti che gestivano una cartolibreria. Non aveva potuto vedere in volto l’assassino.

Il 26 ottobre 1986 sul cellulare del padre di Claudio, Antonio, arrivò una telefonata. Un uomo, mai identificato, disse di conoscere sia il responsabile dell’omicidio – una persona del quartiere palermitano San Lorenzo – che il movente legato al padre. Ed invece nulla emerse. Non c’era alcun suo collegamento negli ambienti della criminalità, organizzata e non.

L’uomo aveva un’impresa di pulizie che partecipò alla gara per le pulizie nell’aula bunker dell’Ucciardone dove si stava celebrando il maxiprocesso alla mafia. Anche questo filone investigativo non ha prodotto risultati.

Si ipotizzò che il piccolo Claudio qualche giorno prima del delitto fosse stato testimone di qualcosa che non doveva vedere in “un locale di proprietà di Salvatore Graffagnino”. L’uomo gestiva un bar dove i poliziotti trovarono cinquanta cartucce calibro 7.65 e ventisei calibro 38 special marca Fiocchi. Che però risultarono non compatibili con il bossolo dell’omicidio Domino.

Nella polleria che Graffagnino gestiva in piazza San Lorenzo e in un villino a Villagrazia di Carini i cani fiutano tracce di droga. E poi era strano che Graffagnino non avesse sentito il colpo di pistola visto che si trovava davanti al bar quando avvenne il delitto. Lo stesso bar rimase aperto il giorno del funerale di Claudio. Niente lutto, dunque. Nessuna solidarietà.

Qualcuno aggiunse che l’uomo fosse andato all’ospedale dove si erano radunati i parenti Claudio. “Doveva andare così… so che tu non hai fatto niente”, avrebbe detto al padre della vittima. Una quindicina di giorni dopo una voce anonima chiamò Antonio Domino per dirgli che qualcuno voleva ammazzarlo.

Il 5 dicembre 1986 Salvatore Graffagnino fu assassinato. Stessa sorte toccherà, il 21 novembre 1991, al figlio Giuseppe e al nipote Gabriele. Una sentenza ormai irrevocabile ha riconosciuto colpevoli del primo delitto i boss di San Lorenzo Giovan Battista Ferrante e Salvatore Biondino. Nella motivazione c’è scritto che Salvatore Graffagnino fu ucciso perché ritenuto responsabile dell’uccisione del piccolo Claudio: “…un dato appariva inconfutabile alla luce delle concordi risultanze dibattimentali: lo scomparso (Graffagnino Salvatore) era ritenuto non solo da Antonio Domino e dagli inquirenti, ma anche da Cosa Nostra il responsabile dell’uccisione di Claudio Domino”, scrissero i giudici.

Per l’omicidio degli altri due Graffagnino sono stati condannati Salvatore Biondino, Salvatore Biondo, Giovanni Cusimano, Simone Scalici, Giovan Battista Ferrante e Francesco Onorato. Anche in quel processo l’omicidio Domino è stato considerato una delle possibili causali. Con ragionevole certezza si parlò della “necessità dei Graffagnino di mettere definitivamente a tacere il minore, in quanto possibile testimone scomodo che avrebbe potuto mettere a repentaglio i traffici di droga dagli stessi gestiti e conseguentemente la loro libertà personale”.

Il boss Giovanni Bontade, da dietro le sbarre, fece un proclama durante il maxiprocesso, rendendo le distanze dall’assassinio: “Siamo uomini, abbiamo figli, comprendiamo il dolore della famiglia Domino. Rifiutiamo l’ipotesi che un atto di simile barbarie ci possa sfiorare”. La frase di Bontade finì per confermare l’esistenza dell’associazione mafiosa unitaria.

Nel corso della nuova indagine è stata acquisita una vecchia registrazione delle dichiarazioni rese da Giovanni Ilardo al tenente colonnello Michele Riccio. Ilardo era un capomafia della provincia di Caltanissetta che per un anno e mezzo fece il confidente, poi il 10 maggio 1996 l’ammazzarono sotto casa, a Catania. Stava per diventare ufficialmente un collaboratore di giustizia, aveva già incontrato magistrati e ufficiali del Ros a Roma.

Ilardo disse di avere saputo che l’omicidio Domino era stato commesso dai servizi segreti e poi addebitato a Cosa Nostra. In particolare qualcuno aveva visto che a premere il grilletto era stato uno che “aveva la faccia di un mostro e … girava imperterrito in Palermo”. Era un chiaro riferimento a Giovanni Aiello, poliziotto dei misteri, oggi deceduto e tirato dentro nelle più torbide storie siciliane.

Ilardo è sempre stato ritenuto credibile, bisogna capire se lo fosse anche chi aveva messo in circolazione la voce su Aiello. Il pm Antoci ha acquisto la testimonianza resa nel 2016 da Antonino Lo Giudice, detto il nano, al processo “Borsellino quater” di Caltanissetta. Lo Giudice, mafioso calabrese pentito, raccontò che nel carcere dell’Asinara il boss palermitano Pietro Scotto “dava la colpa a un certo Giovanni Aiello. La colpa è tutta sua da quando è entrato nella sua… nella nostra famiglia, che ha preso amicizia con mio fratello, ci ha rovinato a tutti”.

Scotto avrebbe aggiunto che “è stato lui che ha premuto il pulsante, è stato lui che ha fatto scoppiare la bomba a casa di Borsellino”. In seguito, così raccontò Lo Giudice, avrebbe conosciuto lo stesso Aiello che gli confidò di avere ucciso Domino. Solo che Lo Giudice ha detto di non ricordare dove e come avvenne il delitto.

Nello stesso processo ha deposto anche Consolato Villani, ‘ndranghetista pentito, il quale ha riferito che Lo Giudice gli disse che “faccia da mostro” aveva ucciso una donna e un bambino. In realtà in un precedente interrogatorio aveva parlato dell’omicidio di una donna e di un poliziotto, e poi di un bambino. Anche le sue dichiarazioni vengono bollate come piene di contraddizioni.

Il risultato è che la Procura ritiene di non avere raggiunto una verità sull’omicidio del piccolo Claudio Domino nonostante il possibile legame con la vicenda Graffagnino. Il giudice la pensa alla stessa maniera e ha archiviato ritenendo inammissibile l’opposizione della famiglia Domino assistita dall’avvocato Antonio Ingroia, che da pm a Palermo seguiva le indagini sulle cosche mafiose.


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