Palermo, omicidio Sciacchitano: niente ergastolo ma condanne a 30 anni

Palermo, omicidio Sciacchitano: niente ergastolo, ma 30 anni

Confermato il ruolo di mandanti ed esecutori, ma cade la premeditazione

PALERMO – Niente ergastolo. In appello cade l’aggravante della premeditazione e la pena viene ridotta a 30 anni per tutti gli imputati dell’omicidio di Mirko Sciacchitano. Dunque confermato il ruolo di mandanti ed esecutori, ma non è stato deciso il “fine pena mai” inflitto in primo grado a Natale Gambino, Francesco e Gabriele Pedalino, Domenico Ilardi e Antonino Profeta. La sentenza è del collegio presieduto da Angelo Pellino.

Ridotta a 17 anni la pena inflitta a Giuseppe Greco (in primo aveva avuti 22 anni e 6 mesi), considerato il reggente del mandamento di Santa Maria di Gesù, che rispondeva del reato di mafia, ma non dell’omicidio.

L'omicidio di Mirko Sciacchitano
L’omicidio di Mirko Sciacchitano

Salvatore Profeta (nel frattempo è deceduto) e Natale Gambino sarebbero stati gli ideatori del delitto, organizzato per punire il precedente tentato omicidio di Luigi Cona. Gli esecutori materiali sarebbero stati Francesco e Gabriele Pedalino, Domenico Ilardi e Antonino Profeta (figlio di Salvatore). Lorenzo Scarantino, invece, avrebbe fatto i sopralluoghi alla ricerca della vittima e sarebbe stato lui a comunicare ai due presunti mandanti la buona riuscita della missione di morte.

L’omicidio di Sciacchitano, avvenuto nell’ottobre del 2015, in via Falsomiele, sarebbe stata la brutale reazione degli uomini di Gambino e Profeta al ferimento di Luigi Cona da parte di Francesco Urso. Non se la presero con Urso, figlio di un boss che conta, e uccisero il giovane Sciacchitano che ebbe la colpa di avere accompagno con lo scooter Urso nelle fasi del ferimento di Cona.

LE FOTO DEL POMERIGGIO DI MORTE

Le microspie piazzate davanti alla macelleria di Gambino, in via Campisi, il 24 febbraio 2015, registrarono Gambino mentre raccontava a Profeta di avere raccolto lo sfogo di Cosimo Vernengo (“poco fa ho visto Cosimo”), amareggiato per il comportamento di Urso (“l’ho salutato… Cosimo… è… dice sono mortificato”).

Il nipote aveva mancato di rispetto all’anziano uomo d’onore (“… dice Cosimo è mortificato… dice con questo discorso che è successo a Totò”). Gambino lo rassicurava. La colpa era solo del nipote (“gli ho detto Cosimo… che che ti devo dire io… tuo nipote purtroppo… ha fatto di testa sua”) che aveva criticato pubblicamente lo zio (“io so pure che mi ha sparlato a me là… a Falsomiele”). Profeta sottolineava il grave errore del figlio di Urso (“stavolta ha preso una cantoniera di petto… glielo hai detto), ed era l’ultima volta che gli veniva perdonato (“gli ho detto questa è la volta buona che qua non ci viene più e se ne va a lavorare… si vada a guadagnare il pane altrove”).

Alle 16:30 del 3 ottobre 2015, poco prima del delitto, due uomini a bordo di uno scooter Sh 300 di colore bianco giunsero al civico 4 di via dell’Allodola con il volto coperto dai caschi integrali. Uno dei due fece fuoco contro Luigi Cona, titolare della rosticceria “al Bocconcino”. Lo ferirono alle gambe.

A fare fuoco contro Cona sarebbe stato Francesco Urso, già condannato, mentre alla guida dello scooter con cui Urso entrò in azione c’era Mirko Sciacchitano. Alle 19:40 dello stesso giorno sarebbe scattata la ritorsione. Tre uomini incappucciati arrivarono a bordo di una Panda di colore rosso in via della Conciliazione, all’angolo con via della Concordia.

Sciacchitano si trovava davanti a un’agenzia di scommesse. Tentò di scappare assieme ad un amico diciassettenne. La fuga durò poche centinaia di metri. Mirko fu raggiunto da una pioggia di fuoco.

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Il primo episodio che fece collegare l’omicidio tentato con l’agguato mortale avvenne alle 16:29, quando un giovane a bordo dello scooter di Cona, che era stato appena ferito alle gambe, raggiunse Antonino Profeta davanti a una friggitoria. Nel giro di pochi minuti arrivarono a bordo di un’Audi Q3 e di una Smart Domenico Ilardi e i due Pedalino. Poco dopo fu la volta di Salvatore Profeta e Natale Gambino. Quindi Gambino si spostò e raggiunse Giuseppe Greco nella macelleria Carni Doc di via Albiri. Alle 18:41 le cimici captarono una conversazione decisiva. “… tu scinni e ci spari… tu rincapu… prima i cuosci… prima viennu i cuosci…”, avrebbero detto Profeta e Gambino. “Lo so…”, rispondeva Francesco Pedalino.

L’audio era molto disturbato. Secondo le difese, le frasi registrate non hanno il significato attribuito dagli investigatori. Gli interlocutori parlavano fuori dalla macchina. Si trattava della Polo di Antonino Tinnirello, finita sotto intercettazione. Alle 19:06, nelle vicinanze della friggitoria fu notato il transito di una Panda di colore rosso. A bordo vi sarebbero stati Ilardi, Antonino Profeta e Lorenzo Scarantino. Poco dopo negli audio finirono di nuovo le parole di Gambino che dava indicazioni sulla strada da percorrere: “… ce ne scendiamo dalla via Oreto e prendiamo la strada di via Fichidindia… cammina piano nelle corsie Nino… che di là ci spuntano macchine cose… motori”.

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Alle 19:42 le microspie installate a bordo della Polo captarono uno, due, tre, una raffica di rumori sordi. Erano, secondo l’accusa, i colpi di pistola sparati per uccidere Sciacchitano. La macchina fu localizzata in via Oreto nei pressi dell’incrocio con via dell’Orsa minore, ad un centinaio di metri dal luogo del delitto. Fuori sparavano, dentro la macchina regnava il silenzio, interrotto da Profeta che iniziò a cantare la canzone “Volare”.

La notizia della morte di Sciacchitano divenne presto di dominio pubblico. Urso temeva per la sua vita e si rifugiò dalla nonna: “… sono quattro crastazzi nonna… non è che una cosa che chi è stato è andato a toccare a lui…non… perché qual è… cioè io questo è quello che dico, capito?… è solo che loro hanno, hanno tanta quella voglia di ammazzare a qualcuno, di farsi sentire…dice, ora l’hanno capito tutti che… che devono sentire tutti a noialtri e non devono sbagliare più. Ma c’è bisogno di ammazzare…”. Qualche giorno dopo deciderà di partire per Civitavecchia.

Ad un altro parente aggiungeva: “… hanno fatto una cosa… si sono messi l’acqua dentro con questo omicidio che hanno fatto, hanno finito di cucinare… fatalità va a combaciare che mi cercano pure a me… ci sarà qualche intercettazione, praticamente dall’intercettazione, dobbiamo ammazzare pure a lui per dire a quel cornutazzo, parlando di me… qua prendono l’ergastolo facile”.

Urso era rammaricato. Sciacchitano non doveva morire: “Dovete ammazzare a me, cioè non c’entra niente che dovete ammazzare a quel picciotto… che c’entra che se la prendono con quello… ma quello è stato pure un ragazzo ingenuo… perché a lui non ce lo porta nessuno pure, te lo giuro vero. Lui la situazione… lui neanche doveva venire, non ce lo porta nessuno… dice, andiamo vengo io, vengo io e mi sono fatto convincere diciamo così, perché è un bravo ragazzo, bravo, bravo, onesto e bravo”.

Il 2 novembre i carabinieri del Ros e del Nucleo investigativo registrarono Luigi Cona, ancora claudicante e con una stampella per via del ferimento. Incontrò Profeta, Scarantino e Francesco Pedalino. “U Bocconcino… ti ha portato lo champagne”, diceva Pedalino. Secondo l’accusa, dovevano festeggiare la riuscita dell’agguato. Ora davanti alla Corte di assise di appello è arrivato uno sconto di pena per gli imputati: dall’ergastolo a 30 anni.


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