PALERMO – L’accusa era omicidio stradale. Serafina Nuccio è stata condannata a 4 anni e 4 mesi, con l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni e la revoca della patente di guida. Fu l’imputata, 41 anni, a travolgere e uccidere con una Fiat 600 Manfredi Saja che era in sella ad una moto con un amico, Federico Bardi, rimasto ferito.
Le parti civili
Il giudice per l’udienza preliminare Ermelinda Marfia (la sentenza è stata emessa in abbreviato, dunque la pena è scontata di un terzo) ha riconosciuto una provvisionale immediatamente esecutiva di diecimila euro ciascuno in favore dei familiari delle vittime, costituiti parte civile con l’assistenza degli avvocati Sergio Visconti, Floriana Cangemi e Valeria Torre (i parenti di Saja) e degli avvocati Fabrizio Fantauzzo e Mario Di Trapani (per i familiari di Bardi). Il risarcimento definitivo del danno sarà stabilito in sede civile.
La dinamica dell’incidente
L’impatto mortale, che risale al 2020, avvenne all’incrocio tra via Roma e corso Vittorio Emanuele. La macchina dell’imputata, che risultò essere sotto l’effetto di tranquillanti, invase la corsia opposta per svoltare a sinistra e si scontrò frontalmente con la moto. Inutili i soccorsi. L’imputata nel corso del processo disse che erano stati i medici intervenuti in via Roma a farle prendere i medicinali. Una tesi che non ha trovato alcuna conferma.
Saja aveva 29 anni e qualche mese dopo la tragedia si sarebbe laureato in Medicina. Mancava solo la discussione della tesi. Sognava di fare il gastroenterologo. L’Università degli studi decise di conferirgli l’onorificenza di “benemerito dell’ateneo”.
La difesa
L’avvocato Mariangela Cicero, difensore dell’imputata, “nel riservarsi la lettura delle motivazioni sottese al giudizio del tribunale, ritiene, dal tenore della pena inflitta, che il tribunale non abbia affatto valorizzato elementi probatori di sicura rilevanza ai fini della invocata attenuante speciale. Numerosi e assai gravi elementi di di colpa sono stati evidenziati dalla difesa nel contegno di guida del centauro. Primo fra tutti la positività all’alcol test e a sostanze stupefacenti. Così come pure l’assenza di casco del giovane poi deceduto. Tanto già da solo avrebbe comunque potuto influire sulla dosimetria della pena, che di fatto non può che apparire assolutamente inclemente per la mia assistita. L’auspicio è che sia il giudizio d’appello a chiarire i veri contorni di questa drammatica vicenda”.