Papa Francesco, quel saluto in piazza

Papa Francesco, il dolce saluto con l’ultimo giro in piazza

La riflessione sul commiato di un grande Papa
I FUNERALI DEL PONTEFICE
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Forse sapeva bene che quello sarebbe stato il suo ultimo giro in piazza San Pietro. Forse lo sentiva, forse lo carpiva dagli evidenti segni che la sofferenza gli ha anche recentemente indicato. Ma il ‘forse’ è solo il segno della nostra umanità limitata; il ‘forse’ che segna la totalità dei nostri dubbi, per lui magari aveva il marchio della certezza. Noi non potremo mai saperlo.

Di fatto, quel giro in piazza è stato un saluto. Ciò che ai più è sembrata un’improvvisata delle sue, un moto istintivo di quella propensione alla prossimità che lo ha sempre animato, magari è stato da lui ostinatamente voluto, caparbiamente ottenuto e vittoriosamente realizzato per un misterioso richiamo che non può appartenere alle logiche umane.

È stato un giro lungo, più di quanto i medici avevano consigliato, dopo regolare diffida. È stato un giro affettuoso, ancora più del solito, se fosse possibile una comparazione con gli innumerevoli altri giri precedenti. Un giro con carezze, le ultime; con parole, le ultime; con sguardi, umanamente ultimi.

Non soltanto la percezione di un sentimento definitivo, da confine all’orizzonte, da finestrino sul treno alla stazione: il suo ultimo giro a piazza San Pietro è anche stato un giro riassuntivo del suo mandato; un guardare ancora una volta la gente che gli è stata affidata; una ricognizione del proprio tesoro, una raccomandazione finale.

C’è una falsità sottaciuta e irrispettosa nel vecchio detto per cui “morto un papa se ne fa un altro”. C’è il mancato riconoscimento dell’unicità di un Pontefice benevolmente popolare come pochi, scandalosamente contro-corrente, capace di mandare a carte quarantotto certe regole stantie e anacronistiche, interprete immenso della virtù dell’umiltà, violento e prepotente solo nei confronti della vera violenza e dell’indegna prepotenza dei più autorevoli guerrafondai. E Dio solo sa quanto bisogno abbiamo noi, in questo mondo confuso, caotico e sempre sull’orlo del precipizio, delle presenze dei santi.

Papa Francesco e la guerra. Non la guerra dei generali, ma quella delle vittime innocenti. Cioè la guerra di quasi tutti, della gente che guerra non vuole, che guerra teme, che guerra ripudia, che guerra vuole tenere lontana dalla propria e dall’altrui vita, che di guerra miseramente soccombe.

Papa Francesco e la sua voce unica, che grida nel deserto, limpida e cristallina come una goccia d’acqua pura, dispersa in uno stagno malsano. Il suo grido disperato, ma carico di Speranza, contro la guerra insita nell’anima perversa di chi è sempre in guerra, è stato nei nostri anni l’unico suono intelligibile e chiaro, tanto da apparire tonante, contro l’odiosa logica degli innamorati delle armi.

Una voce che se resterà ancora a ritornare più e più volte come un’eco ridondante nelle nostre vite amareggiate, lo si dovrà a lui e alla sua determinazione nell’affidare la parola ‘Pace’ alla Speranza.

Papa Francesco e le armi. Ne ha tenuta per sé soltanto una, la più apparentemente fragile: quella di un amore povero, ma non impoverito; umile, ma non umiliato, appassionato, ma impossibile che appassisca. Un amore autentico e vitale, quello nel quale si pensa che non creda più nessuno di coloro che guardano i telegiornali con disincanto.

Che non si moltiplichino parole vuote, adesso. Che si metta un tappo ad ogni forma di retorica. Che si resti in silenzio ad ascoltare nell’intimo della propria stanza le parole e l’amore che ci sta lasciando. Per chi ha orecchie che sappiano ascoltare, ma soprattutto per chi ha un cuore che sappia e voglia ancora amare. Che si lasci spazio alla preghiera, per chi ha il coraggio ancora di farlo, per chi sa che per pregare non c’è bisogno di coraggio, ma di fede, e di speranza, e di carità. E per chi sa che queste tre parole vanno scritte in maiuscolo.

E che quell’ultimo giro in piazza ci resti bene in mente, nella memoria, come un testamento. Chi sa che un giorno il suo ricordo non si imprima nel nostro cuore. Proprio questo papa Francesco desiderava, certamente; proprio questo resterà a chi resta, ‘forse’.


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