MESSINA– Cosa ci fa un ex poliziotto con una condanna per corruzione alla direzione generale di un’azienda ospedaliera, in veste di consulente? L’interrogativo se lo stanno ponendo in molti al ‘Papardo’ di Messina, dove arriva un ex “007” con il compito di occuparsi (a titolo gratuito) di sicurezza e anticorruzione. In Sicilia, anzi a Messina, può accadere anche questo. Il manager dell’azienda Papardo-Piemonte, Michele Vullo, ha conferito un incarico a titolo gratuito ad un ex appartenente alla Polizia di Stato, con il compito di occuparsi di sicurezza ed essere di supporto all’anticorruzione. Fin qui nulla di strano, ma poi emerge che l’agente ingaggiato ha avuto problemi con la giustizia proprio in materia di corruzione.
Vincenzo Ciacio dallo scorso 26 novembre è diventato consulente dell’azienda ospedaliera, con una deliberazione firmata dal manager Michele Vullo, sentito il parere, fra gli altri, del direttore sanitario dell’azienda, Paolina Reitano. La deliberazione è disponibile sul sito internet dell’azienda sanitaria ed ha il seguente oggetto: “Autorizzazione collaborazione volontaria del Sig. Vincenzo Ciacio, in possesso dei titoli di studio e formativi nel settore di Polizia Giudiziaria per l’espletamento dell’attività di supporto, a titolo gratuito, per la Direzione Generale Aziendale”.
L’ex ispettore di polizia nel 2005 è finito ai domiciliari mentre prestava servizio alla sezione investigativa del commissariato di Alcamo, perché accusato del reato di corruzione. Con un collega – entrambi all’epoca dei fatti erano sotto copertura – avrebbe preteso del denaro da un soggetto sottoposto a indagini, al fine di insabbiare l’inchiesta. Ma la vittima del presunto ricatto era intercettata dai carabinieri e per Ciacio e il collega scattarono le manette. Tuttavia, dopo qualche mese di sospensione, l’agente è tornato in servizio e prima di uscire dalla polizia è stato anche al commissariato di Sant’Agata Militello. Ciacio – riferiscono le cronache – oltre a patteggiare la pena, è stato anche condannato dalla Corte dei Conti, nel 2010, al pagamento di 5mila euro per il danno d’immagine causato allo Stato.