Chi sono gli esagitati componenti della moltitudine che corre, inquadrata da una telecamerina, massa frastagliata e comunicata a tempo record in rete, affinché tutti possano vedere? Sono bufali impazziti col giubbotto luminescente di adesivi? Sono i tifosi rosanero in fuga dalla B? Sono famiglie che scappano dal crollo di un palazzo, per salvarsi, raccattando le poche cose disponibili? La risposta si conosce già: da una parte la città, dall’altra gli sconti. Il risultato è quella gara. La corsa all’oro disperata e immortalata, con contusioni, polizia, ferimenti assortiti. A questo punto, uno si sbilancia. Si scaglia contro l’orrore di certa tascitudine palermitana. Deplora i costumi – ahi a che siamo ridotti – moraleggia e va a dormire soddisfatto. Sarebbe semplice. Ma la verità, anzi, la verosimiglianza, va cercata altrove, alla radice. La fuga per un elettrodomestico non è una patologia, né una stranezza. E’ il risultato dello smarrimento di ogni nozione di armonia.
Mi capita spesso di passare dal ‘Conca d’oro’, specialmente la sera, in macchina. E rimango perplesso davanti alle sue guglie neogotiche di tempio dedicato al prodotto e ai suoi derivati. Le emozioni si attorcigliano. La bellezza della sera palermitana, l’incanto di una meraviglia che abbiamo sventrato e dissolto e che pure è tanto generosa da regalarci ancora i suoi odori e le sue tinte. Nel cemento spunta qualche fiorellino giallo superstite. Le sfumature del cielo: dal violetto al rosso cupo. L’aria si inspira a pieni polmoni. Senza considerare la tempesta nordica che ci avvilisce adesso, d’inverno il clima è mite. Quando Palermo ti viene incontro docile e perfetta, in ognuno di noi si raddoppia la voglia di non morire. Che tragedia sarà chiudere gli occhi qui, rimpiangendo il mare.
Di sotto, al livello del suolo, è tutto cemento. E’ violenza latente che soffoca. Non solo nei paraggi dello Zen, nell’autostrada di via Lanza di Scalea. Avete visto la Statua imbrattata dalle scritte dei barbari? Avete osato un viaggio nelle periferie urbane in cui perfino i cani soffrono per la bruttezza dei paesaggi? Se un extraterrestre osservasse dal suo telescopio cosmico la giornata normale del palermitano medio, inorridirebbe e avrebbe voglia di atterrare col suo disco volante a piazza Politeama, per trarci in salvo. Parliamo di un extraterrestre con licenza liceale e appassionato di melodramma pucciniano, altrimenti non sapremmo garantire il rapporto.
Noi (sì, i palermitani siamo noi, non gli altri) respiriamo lo sfacelo e non ce ne accorgiamo. Lo sopportiamo senza battere ciglio. Non ci ribelliamo. Non ci arrabbiamo. Non ci indigniamo. La sottomissione allo scempio è la serratura delle catene che portiamo a spasso. Eppure ci sono sere che varrebbe la pena di non perdere, che incastoniamo dentro, socchiudendo gli occhi. Ci sono siepi di gelsomino. Ci sono castelli di sabbia a Mondello. Ci sono strade che costeggiano il mare. Basta accostarsi un attimo, scendere. E respirare.
Invece, restiamo al chiuso. La domenica di sole la passiamo in un centro commerciale, comprando mortadelle di plastica. Parliamo con i telefonini e non col prossimo. Il cuore ha un pulsante per autodistruggersi. Evitiamo le macerie, nascondendoci nel surrogato della convenienza economica. Come scongiurare che l’unico orizzonte di bellezza rimasto sia il cartellino del prezzo di una lavatrice?