Paratore ucciso e bruciato |Condannati Puglisi e Magrì - Live Sicilia

Paratore ucciso e bruciato |Condannati Puglisi e Magrì

Le motivazioni della sentenza d'appello.

CATANIA – Ucciso con due colpi di pistola alla testa e poi bruciato. Così l’11 marzo del 2005 fu ammazzato Sebastiano Paratore, affiliato dei Santapaola del gruppo della Civita. Il suo cadavere mezzo carbonizzato fu trovato nelle campagne di Aci Catena il pomeriggio del giorno dopo. Per questo efferato delitto la Corte d’Assise d’Appello di Catania, presieduta dal giudice Dorotea Quartararo, ha condannato due uomini d’onore di Cosa nostra.

Carmelo Puglisi, detto Melo suggi, e Orazio Magrì dovranno scontare 30 anni di carcere. Nelle motivazioni della sentenza (ormai diventata definitiva) è sviscerato l’impianto probatorio che portarono a identificare Carmelo Puglisi come mandante e Orazio Magrì, come componente insieme ad Alfio Catania (già condannato definitivamente) e altri del gruppo di fuoco.

Sono serviti 12 anni per arrivare a una verità processuale. Sebastiano Paratore è stato ucciso perché non rispettò i codici d’onore di Cosa nostra. Mise in imbarazzo, anche per la sua vivacità sentimentale, il capo del gruppo Melo suggi. I pentiti raccontano che “molestò” la moglie di un affiliato detenuto e inoltre fu coinvolto in qualche modo nell’arresto per droga di Camillo Brancato, proprietario dell’appezzamento di terreno dove fu trovato il cadavere di Paratore.

Una punizione nella punizione. Il primo a parlare di questo omicidio fu Alessandro Isaia. Uno dei testi chiave del processo che portò alla condanna all’ergastolo di Alfio Catania, affiliato del gruppo Santapaoliano di Aci Catena ma che conservava stretti legami con i boss della Civita di Catania, come Carmelo Puglisi e Orazio Magrì. Il giorno del delitto, infatti, i tre la mattina si incontrarono nel quartiere Civita di Catania e nel pomeriggio si sentirono più volte al telefono. Prova ne sono le conversazioni che furono captate in quei giorni. Le telefonate di Puglisi e Magrì ad Alfio Catania sono considerate dalla Corte come “la convocazione” da parte “dei capi”. Nel 2009 nel processo d’appello nei confronti di Catania iniziò a parlare Ignazio Barbagallo. Il collaboratore di giustizia fornì le indicazioni utili a blindare le accuse nei confronti di Alfio Catania che ebbe un ruolo preciso nell’omicidio. Non sparò soltanto i due colpi mortali calibro 7,65, uno dei quali fu trovato nel luogo del delitto. “Alfio Catania ebbe il compito di attirare Sebastiano Paratore in un tranello” – si legge nelle motivazioni della sentenza.

Nel processo a carico di Magrì e Puglisi furono acquisiti i verbali e gli atti del procedimento che portò alla condanna all’ergastolo del boss acese Alfio Catania. In quei faldoni furono esaminati anche le testimonianze e le intercettazioni che portarono a ricostruire gli ultimi momenti di Sebastiano Paratore. L’11 marzo 2005 la mattina si incontrò in piazza Cutelli con Alfio Catania (“Alfio e i paesani”, raccontarono al processo), poi andò al Librino dalla sua compagna, nel tardo pomeriggio tornò nel centro di ritrovo degli affiliati santapaoliani della Civita e poi da lì si sposto nelle zone acesi. Poco prima delle 18 Alfio Catania fu contattato da Orazio Magrì che gli disse di affrettarsi.

Novità di questo processo sono state le dichiarazioni di Santo La Causa, ex reggente dei Santapaola, e Giuseppe Mirabile. Il primo ha raccontato che aveva saputo che a sparare fu Alfio Catania, che guidò la macchina dove viaggiarono la vittima, Orazio Magrì e anche Mario Ercolano (all’epoca considerato l’ala militare della famiglia di Cosa nostra a Catania). Giuseppe Mirabile, invece, racconta di un incontro in carcere con Carmelo Puglisi che dichiarò in tema di omicidi: “Ca calai u itu magari pi me cucino (avevo abbassato il dito anche per mio cugino, ndr)”. Una frase che la Corte traduce “ne decretai l’uccisione”. Dai documenti acquisisti nel processo risultò che la sorella di Paratore convolò a nozze con il figlio di un cugino di Carmelo Puglisi. La frase “calai u itu” pronunciata da Puglisi la Corte la traduce “ne decretai l’uccisione”. Insomma la condanna a morte per Sebastiano Paratore.


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