PALERMO – La condanna per i medici e l’azienda sanitaria diventa definitiva, ma il risarcimento del danno dovrà essere molto più consistente di quello finora riconosciuto. Ecco perché, solo per stabilire la cifra, si celebrerà un nuovo processo d’appello.
È una storia di malasanità e sofferenza quella giunta in Cassazione. I soldi non possono garantire al paziente, oggi poco più che ventenne, una vita normale, ma servono ad assisterlo in ogni istante della sua esistenza, segnata irrimediabilmente da un errore sanitario.
I medici della divisione di Ostetricia e ginecologia dell’Aiuto materno, allora ospitato all’ospedale Cervello, come ha stabilito la Corte di Cassazione, avrebbero dovuto accorgersi della sua sofferenza, un’ipossia, quando era ancora nella pancia della mamma. Avrebbero dovuto farlo nascere con un parto cesareo ed invece attesero che venisse al mondo in maniera naturale. Un errore fatale che provocò una successiva asfissia neonatale.
Era il 1995, il bambino non si è più ripreso. Oggi è un ragazzo costretto a vivere una vita quasi vegetativa. Accanto a lui ci sono i genitori che hanno iniziato una lunga battaglia giudiziaria con l’assistenza dell’avvocato Alberto Gattuccio (nella foto). Il legale li ha seguiti già durante il processo d’appello, quando i giudici palermitani condannarono l’allora primario Domenico Di Grigoli assieme ai medici Giuseppe Gulì e Maurizio Nicolai, in solido con l’ospedale Cervello (escluso da responsabilità in primo grado), a risarcire i danni. Al ragazzo, oggi invalido al 100 per cento, furono riconosciuti 700 mila euro, 500 mila ai genitori per i danni morali subiti e per le spese sostenute per curare il figlio. Non solo, medici e ospedale furono condannati a versare al paziente, a partire dal venticinquesimo anno di età e per sempre, 1.300 euro al mese per coprire le spese che la famiglia dovrà sostenere per l’assistenza.
L’avvocato Gattuccio ha fatto ricorso in Cassazione, non ritenendo congrua la cifra assegnata. Secondo il legale, era passato ormai troppo tempo dall’inizio del processo – il primo grado si era concluso nel 2005 – e i criteri per quantificare i danni andavano aggiornati al rialzo. I supremi giudici gli hanno dato ragione, accogliendo il suo ricorso e respingendo quello di medici e azienda ospedaliera, nel frattempo non più solo Cervello, ma Villa Sofia-Cervello. I sanitari sono responsabili di gravi negligenze durante il ricovero e nella fase pre parto. Non valutarono correttamente i segnali che giungevano dai macchinari collegati alla paziente. Colpevole è anche l’azienda sanitaria che era tenuta a garantire la migliore e corretta assistenza. È vero, hanno riconosciuto i giudici, che l’Aiuto materno era solo temporaneamente ospitato al Cervello, ma un’azienda sanitaria non è un “albergo” e deve mettere a disposizione il proprio apparato organizzativo e strumentale. Infine, la Cassazione ha riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni anche alla sorella del paziente.