Terremoto nella mafia di Bagheria| Si è pentito Sergio Flamia - Live Sicilia

Terremoto nella mafia di Bagheria| Si è pentito Sergio Flamia

Dai traffici di droga al pizzo, dagli omicidi in Sicilia e in America ai contatti con la mafia italo-americana: il braccio destro del potente e ricco clan di Bagheria, nel Palermitano, vuota il sacco.

PROVINCIA MAFIOSA
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PALERMO – Trema la mafia di Bagheria e quella d’oltreoceano. Tremano i clan di una grossa fetta della provincia palermitana. Quelli che per anni hanno offerto protezione a Bernardo Provenzano. Quelli che hanno imposto il pizzo a tappeto e hanno sporcato di sangue le strade. Siciliane e americane. Quelli che hanno fatto affari con i narcos della Cosa nostra canadese.

Si è pentito Sergio Flamia, braccio destro del capomafia bagherese Gino Di Salvo. Dell’importanza del suo pentimento, avvenuto quasi in contemporanea con quello di Giovanna Galatolo, figlia del boss dell’Acquasanta, si è discusso nel corso delle riunioni della Direzione distrettuale antimafia del capoluogo siciliano. Una ventina di giorni fa, superata la soglia dei cinquant’anni, Flamia ha deciso di saltare il fosso. Trasferito in una località protetta ha iniziato a raccontare i segreti della mafia di cui è stato protagonista. Compresi una sfilza di omicidi. Nel 2008 era già a disposizione dei vecchi padrini. Erano sue le case dove il capomafia Giuseppe Scaduto incontrava i mafiosi di Palermo che si erano messi in testa di riconvocare la commissione provinciale di Cosa nostra. Cinque anni dopo, nel maggio 2013, la scalata di Flamia era ultimata. C’era lui al fianco di Di Salvo. Braccio operativo del capo, come Carmelo Bartolone. Tra i due, però, Flamia era quello che godeva di maggiore rispetto. Forte com’era di un piccolo esercito che imponeva il pizzo a tappeto.

Flamia è stato al fianco degli ultimi tre capimafia di Bagheria. Prima di Scaduto, arrestato nel 2008, il cui posto venne preso da Antonino Zarcone, giovane e rampante capo della famiglia di Altavilla Milicia. Anche lui finirà in manette nel 2011, aprendo una stagione di crisi. A quel punto sarebbe toccato all’anziano Di Salvo. Dall’inchiesta dei carabinieri del Comando provinciale di Palermo e del Ros, che nel maggio scorso portò in carcere ventuno persone, su richiesta del procuratore aggiunto Leonardo Agueci e dei sostituti Francesca Mazzocco e Caterina Malagoli, venne fuori lo spaccato di una mafia arroccata nelle tradizioni (dalla punciuta durante il rito di affiliazione alla presentazione dei nuovi picciotti agli anziani), ma che guardava al futuro investendo fiumi di denaro – la gran parte arriva dal traffico di stupefacenti – nell’apertura di imprese edili, supermercati, agenzie di scommesse e locali notturni.

Una mafia imprenditrice di cui Flamia conosce i segreti. I suoi metodi violenti erano temuti. “… mettigli una bella briglia…”, diceva parlando dei nuovi affiliati. Per chi non pagava il pizzo non bisognava avere pietà: “Questa la prendo e te la faccio ingoiare… se non porti ventimila euro di acconto… ah?… hai finito perché mi hai preso troppo per il culo… ed io questa (la pistola ndr) la prendo e te la faccio ingoiare… grandissimo cornuto e indegno che sei… ”.

Flamia conosce anche i rapporti perversi fra la mafia e la politica. Un avviso di garanzia è stato notificato a Giuseppe Scrivano, sindaco di Alimena, che nell’ottobre 2012 si era candidato alle regionali nella lista Musumeci presidente e poi alle politiche con la Lega Nord.

Le sue dichiarazioni serviranno soprattutto per fare luce sulla guerra di mafia esplosa di recente nel bagherese. All’indomani del blitz di maggio i carabinieri del Ros scoprirono i corpi di Juan Ramon Fernandez e Fernando Pimentel, crivellati di colpi, bruciati e abbandonati nelle campagne di Casteldaccia. La faida canadese era ed è sbarcata in Sicilia. Fernandez era l’ambasciatore a Toronto di don Vito Rizzuto, leader del clan nato come costola di due famiglie newyorkesi (Bonanno-Gambino), ed erede di Nicolò Rizzuto, l’anziano patriarca partito da Cattolica Eraclea per diventare un potente boss a Montreal. Il dominio dei Rizzuto negli ultimi anni è stato messo in discussione da Raynald Desjardins. Quando Rizzuto è stato scarcerato, nell’ottobre 2012, la guerra è esplosa più feroce che mai. Sessanta i cadaveri rimasti per le strade. Fernandez si è trovato in mezzo al conflitto e non ha saputo o voluto scegliere con chi schierarsi. Da una parte il suo padrino, don Vito Rizzuto, e dall’altro Raynald Desjardins che assieme a Fernandez, nel corso della stessa cerimonia, era stato affiliato alla famiglia mafiosa canadese.

Una volta arrivato in Sicilia, Ramon Fernandez si è creato una schiera di picciotti e si è messo in affari con la droga. Con il benestare dei boss locali, naturalmente. A cominciare da Sergio Flamia, che lo spagnolo chiamava “il capo”. Flamia potrebbe sapere chi sono i mandanti del delitto. Un altro pentito, Giuseppe Salvatore Carbone, ha fatto ritrovare i corpi e arrestare i presunti killer, i fratelli Pietro e Salvatore Scaduto. Flamia potrebbe aprire uno squarcio di verità sul livello superiore. D’altra parte, due giorni dopo la scomparsa, sua era la frase sibillina: “Vedi che sempre i migliori amici hanno portato a morire”. Conosce i segreti della faida italo-canadese e dei tanti morti ammazzati. Alcuni dei quali potrebbe averli sulla coscienza. E forse sa pure perché Carmelo Bartolone prima ha deciso di scappare dalla Sicilia e poi di consegnarsi al posto di polizia di un ospedale.


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