Narra la leggenda che i suoi aficionados, dopo la vittoria, abbiano festeggiato così: Chiddici unMidiri niente!”. Lui è appunto Massimo Midiri, cinquantanove anni, nuovo magnifico rettore dell’Università di Palermo, avendo prevalso nella sfida con il suo concorrente, Francesco Vitale. Qui (LEGGI) una parte del suo curriculum biblico. Ma questa chiacchierata non è con il nuovo rettore sui massimi sistemi e sui contenuti pur importantissimi della sua missione. Questa è una chiacchierata con Massimo Midiri e basta, visto da dentro, perché un uomo è ciò che porta nel suo cuore.
E’ d’accordo, professore?
“D’accordissimo”.
Le va bene se la chiamo professore?
“Mi pare l’appellativo più bello”.
Lei ha un cane?
“Sì, Amelie, una border collie che amiamo molto e che fa parte della famiglia”.
Cominciamo bene, i nostri amici animali sono indimenticabili compagni di viaggio.
“E’ vero. Amelie viene dopo un altro amico a quattro zampe, Lola, il nostro beagle, che ci ha lasciato, è stato un lutto immenso. Siamo fortunati nel dare e ricevere amore, nonostante il dolore della perdita”.
Scorgo le sue foto di famiglia e sembrano le immagini di persone normali.
“Confermo, con mia moglie, Anna Maria, siamo sposati da di trent’anni, la sua capacità di giudizio per me è fondamentale. Ho due figli, Federico e Mauro”.
A cena si parla del suo lavoro?
“Mai, si sta insieme”.
I suoi figli che fanno?
“Studiano, medicina e radiologia”.
Lei li ha mai raccomandati?
“No”.
Ma sono pur sempre i figli di un professore che è diventato rettore.
“Penso che la vivano con un po’ di disagio. Io sono per la meritocrazia. Se uno merita, va avanti, a prescindere dal cognome. Però non sarebbe nemmeno giusto escludere i ‘figli di’ sulla base di un pregiudizio”.
Come è stata questa elezione?
“Non semplice, perché qualcuno ha voluto dipingere me il professore Vitale, a cui rinnovo la mia stima, come i portabandiera di due schieramenti: io con Roberto Lagalla, lui con Fabrizio Micari. Non era così. Ci siamo confrontati sulle cose e il voto ha premiato me: molto semplice”.
Però l’assessore Lagalla si è messo a piangere per la commozione, dopo l’esito. Ci sono le foto.
“E’ un amico e una persona che mi vuole bene, sapendo di essere ricambiata”.
E l’Università come è messa?
“Dobbiamo lavorare molto per recuperare a livello di immagine, evitando la fuga dei giovani. Saranno loro a salvarci”.
Domanda di alleggerimento: lei per chi tifa?
“Palermo”.
Palermo e…?
“Palermo e basta”.
Mangia arancine? Direi di no, vista la sospetta fisicità da atleta.
“Come no, al burro”.
Interrogazione a sorpresa: perché tanti no vax?
“Per tanti motivi”.
Proviamo a elencarli?
“Errate informazioni, poca chiarezza. Tutti hanno detto tutto e il contrario di tutti. Ma c’è anche un enorme problema culturale da affrontare. E rischiamo di pagarla, appunto, tutti, non soltanto chi non crede che non esista il Covid e finisce in rianimazione”.
La cultura ha un futuro?
“E le pare che potrei risponderle di no?”.
Vabbè, uno ci prova.
“La cultura è civiltà e io, per esempio, ho sempre creduto che la civiltà di un luogo sia leggibile nello stato dei bagni di cui si serve. Nel mio Dipartimento ho fatto mettere il classico asciugamani a getto da aeroporto, l’hanno divelto, lasciando la voragine nella parete”.
C’è molto da lavorare, diceva…
“Ecco”.
In conclusione?
“I no vax sono anche figli dell’egoismo, dell’incapacità di concepire il bene comune. Io vengo dal classico, dal ‘Meli’, ripassavamo sui Bignami. Oggi perfino una sintesi per troppi è un testo non affrontabile”.
Lei perché è diventato medico?
“Nonno materno era farmacista e medico condotto. Le sue mani erano un insuperabile strumento diagnostico. Io, bambino, qualche volta lo accompagnavo nelle visite. E così…”.
Ogni uomo di scienza si scontra con un muro invalicabile che è la misura del suo dolore, per lei?
“La morte di mia madre. Ho tentato l’impossibile”.
Non lasciamoci senza prima ricordare il suo nome e il suo amore.
“Si chiamava Elena e non smetterà mai di essere accanto a me”.