Il 'piano per l'Africa' di Giorgia Meloni: perché scomodare Mattei?

Il ‘piano per l’Africa’ di Giorgia Meloni: perché scomodare Mattei?

Il nome dell'imprenditore sul provvedimento del CdM

Il 27 ottobre 1962 moriva l’imprenditore Enrico Mattei: l’aereo sul quale stava viaggiando da Catania verso Milano precipitò nelle campagne di Bascapè. Le indagini sulla morte durarono anni, ostacolate da depistaggi: solo nel 2006 una sentenza confermò che si trattò di un sabotaggio. A far riaprire le indagini sulla sua morte – su cui lavorò anche Boris Giuliano – furono le rivelazioni di alcuni collaboratori di giustizia. Tra questi anche Tommaso Buscetta che indicò la pista della mafia siciliana, desiderosa di rendere un favore alla consorella americana e alle Sette sorelle del cartello petrolifero.

Una storia intensa

E’ una storia intensa e dalle mille sfaccettature, quella di Enrico Mattei che è stato anche partigiano prima che imprenditore e la cui parabola professionale – dai primi anni all’Agip sino alla guida di Eni e al braccio di ferro con le “sette sorelle” – rappresenta un’epoca di grandi rivoluzioni industriali, ma non solo. Il suo lavoro contribuì a rompere l’oligopolio delle “sette sorelle” che allora dominavano l’industria petrolifera mondiale. Mattei introdusse il principio per il quale i Paesi proprietari delle riserve dovevano ricevere il 75% dei profitti derivanti dallo sfruttamento dei propri giacimenti.

Il sistema dei permessi

Mattei analizzò a fondo il sistema di assegnazione dei permessi di ricerca e delle concessioni di coltivazione del giacimento in vigore al tempo, con le quali lo Stato concedeva a soggetti privati (in genere aziende minerarie senza privilegi derivanti dall’essere di proprietà statale) il diritto di eseguire prospezioni, ricerche e perforazioni nel sottosuolo al fine di verificare la presenza di giacimenti petroliferi o di gas, prevedendo che la successiva concessione di sfruttamento governativa potesse garantire il diritto di estrazione e di vendita del prodotto, con il pagamento di una royalty allo Stato.

In Italia queste concessioni erano quasi esclusivo appannaggio di aziende straniere, con prevalenza di quelle statunitensi. Ma Mattei, affermando uno stile di leadership che presto sarebbe divenuto caratteristico, concentrò le forze aziendali su quei siti di ricerca nei quali poteva essere più probabile il ritrovamento di nuovi giacimenti. Nel frattempo si adoperò per destinare fondi alla ricerca, attingendoli dagli stanziamenti ricevuti per l’ordinaria amministrazione. E si mosse per ottenere prestiti da parte di alcune banche che malgrado la sorpresa e alcune diffide di fonte politica, gli concessero fiducia e così risanò i difficili conti dell’azienda e che aveva preso in carico quando era prossima a portare i libri i tribunale.

Il metodo Mattei

Nel giro di un anno, l’Agip ormai rilanciata, ebbe un’escalation di risultati positivi che costrinsero il governo ad autorizzare la costruzione di nuove reti di gasdotti che produssero vantaggi per l’industria locale. Si impose il “metodo Mattei” – antesignano del “what ever it takes” di Mario Draghi. Mattei andava avanti a testa bassa, anche quando il contesto era decisamente avverso. Per la realizzazione dei gasdotti pose i politici dinanzi al fatto compiuto, poiché per gli attraversamenti dei terreni si doveva necessariamente pattuire l’istituzione di una servitù di passaggio con i rispettivi titolari, che in genere erano piccoli contadini o comuni.

Decine di chilometri di tubazioni furono stese nottetempo, ufficialmente con la scusa di scavare una piccola traccia solo per verificare l’idoneità del terreno. Centinaia di sindaci furono svegliati di soprassalto dalla notizia di questi passaggi, quando questi erano già stati completati e risotterrati. Molti altri non seppero del passaggio dei gasdotti se non molto tempo dopo, magari incidentalmente.

La rete era stata stesa a tempo di record, con risparmi teoricamente impensabili. Mentre le azioni dell’Agip salivano a valori senza precedenti, l’Italia distrutta dalla guerra trovò nella ‘rivoluzione di Mattei’ una speranza di riscatto, oggi diremmo “di ripresa e resilienza”. Il governo De Gasperi dovette incassare il metodo Mattei e approvare una legge sulle concessioni che metteva in crisi lo strapotere degli Usa e delle ‘sette sorelle’. Fu precursore delle comunità energetiche: sempre attento ai territori, interpretava le comunità come partner insieme a quale crescere insieme.

Mattei non si fermò e preparò il terreno all’avventura trans-mediterranea, aprendo ai paesi africani una porta senza precedenti per rapporti paritari, riconoscendo loro rango e dignità di stati veri e non più di paesi colonizzati. Mattei chiese e ottenne la revisione della legge mineraria per poter operare in Sicilia, dove ottenne concessioni e trovò altro petrolio.

La Sicilia sarebbe stata un’importantissima vittoria interna, che Mattei vinse imponendo la sua visione della missione delle imprese di Stato nel recupero del divario del Mezzogiorno. Mattei fu sempre pervaso da una profonda spiritualità che lo accosta a Dossetti e a Giorgio Li Pira. Quando parlava di Eni, la chiamava “comunità di destini”.

Il “nuovo” piano Mattei

Ripercorrendo la storia di Enrico Mattei – caso scuola per leadership e capacità visionaria – suona strano che al provvedimento varato in Consiglio dei Ministri sia stato dato pretenziosamente il nome di “Piano Mattei”. In realtà, dietro l’idea di agire sull’indipendenza energetica, il provvedimento traccia un solco per contenere l’immigrazione. Accentrando il tutto – verrebbe da dire come sempre – nell’ennesima cabina di regia a Palazzo Chigi e stanziando, almeno al momento, solo le risorse per il funzionamento di questa.

Un Piano senza contenuti, in cui viene solo tracciato un lungo e generico elenco di cose che sono già nelle competenze dei vari ministeri e dei corpi diplomatici, con l’unico scopo di accentrare tutto a Palazzo Chigi e contrattualizzare qualche nuovo esperto. Senza stanziare un solo nuovo euro per le iniziative di cooperazione In Africa e soprattutto senza dare ruolo proattivo ai paesi africani e senza tracciare una vera e propria strategia. Come avrebbe invece certamente fatto Enrico Mattei.


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