"Piano criminale per arricchirsi"| Arata, Nicastri e i "loschi affari" - Live Sicilia

“Piano criminale per arricchirsi”| Arata, Nicastri e i “loschi affari”

Paolo Arata

Il Tribunale del Riesame usa parole durissime nei confronti del professore genovese

PALERMO – “Particolare spregiudicatezza”, “loschi affari”, “strategie criminali per arricchirsi”. Sono durissime le parole dei giudici del Riesame sulla figura di Paolo Arata.

Al professore genovese lo scorso luglio ha lascito il carcere per trasferirsi agli arresti domiciliari. La misura cautelare meno afflittiva è stata ritenuta sufficiente ad evitare che “reiteri le condotte delittuose”, tenendo conto che si tratta di un soggetto incensurato e quasi settantenne.

Paolo Arata e Vito Nicastri sono gli uomini chiave dell’inchiesta della Dda di Palermo sul giro di tangenti pagate ai burocrati regionali per ottenere il via libera alla realizzazione di alcuni impianti di energie alternative.

La linea difensiva di Arata non ha fatto breccia nel collegio composto da Antonia Pappalardo, Erika Di Carlo e Alessis Geraci. Secondo l’accusa, Arata, consulente della Lega di Matteo Salvini per i temi energetici, ha conosciuto Nicastri nel 2015 quando quest’ultimo gli propose di acquistare i progetti per alcuni impianti di mini eolico che Nicastri stava realizzando celandosi dietro la Etnea srl.

Arata “ben consapevole dello spessore criminale di Nicastri ma anche della sua abilità nel settore” ha accetto di entrare in affari con un uomo a cui era stato confiscato un patrimonio miliardario per le sue connivenze con i mafiosi trapanesi.

Il rapporto è andato avanti, coinvolgendo anche i rispettivi figli, Francesco Arata e Manlio Nicastri, persino quando Nicastri senior è finito in carcere nell’ambito di un’altra inchiesta per mafia. Così dimostrerebbero una serie di intercettazioni il cui contenuto viene definito “inequivocabile”. La difesa ha provato a sostenere che nel primo accordo che diede avvio al patto economico non era stato Arata a prevedere che Nicastri ricevesse un incarico professionale. Un incarico che, però, secondo l’accusa, non giustificherebbe i 300 mila euro (la cifra è emersa nelle intercettazioni) ricevuti da Arata. “Da nessuno dei contratti allegati dalla difesa – scrive il collegio – risulta che a Nicastri sia stato conferito alcun incarico”. Dunque il loro era un rapporto societario.

Quando il “re del vento” finì di nuovo nei guai giudiziari, Arata si rese conto di quanto fosse complicato e rischioso avere un socio così ingombrante (“Vito non è più riutilizzabile”) eppure il rapporto di affari non si è mai interrotto. Non si fermò neppure di fronte al casuale rinvenimento della telecamera con cui gli agenti della Dia spiavano l’abitazione di Nicastri ad Alcamo. Anzi i figli, Manlio Nicastri e Francesco Arata, fecero controllare da un elettrauto di fiducia per scoprire ci fossero delle microspie in macchina. Sì, c’era una cimice.

“Gli Arata – scrivono i giudici del Riesame – tuttavia lungi dal desistere, continuarono imperterriti a intrattenere il rapporto societario occulto con Nicastri Vito, in palese, grave e prolungata frode della normativa in tema di misure di prevenzioni patrimoniali”.

Nicastri era per Arata indispensabile, l’uomo giusto per penetrare attraverso il pagamento di tangenti nella burocrazia. Era l’assessorato regionale all’Energia a dovere dare il via libera agli impianti, ma qualcosa si è inceppata. È lo stesso Nicastri a raccontarlo quando ha deciso di collaborare con i magistrati.

Nel frattempo Arata, ex parlamentare di Forza Italia, aveva attivato la sua rete di relazioni. “Davvero allarmante è la disinvoltura con la quale Arata – conclude il Riesame nella sua ordinanza – non esitando a coinvolgere il figlio nei suo loschi affari, ha corrotto un pubblico funzionario inserendolo nel proprio libro paga affinché lo stesso asservisse la pubblica funzione esercitata agli interessi privati suoi e del suo socio occulto”.


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