Vent'anni di pizzo, poi la denuncia | "Neppure la morte ferma il racket" - Live Sicilia

Vent’anni di pizzo, poi la denuncia | “Neppure la morte ferma il racket”

La storia di due imprenditori della provincia di Palermo testimonia che solo la denuncia libera dal racket. Gli esattori del clan mafioso sono stati ammazzati, ma qualcuno ha sempre preso il loro posto.

PALERMO – Il pizzo lo hanno pagato per decenni. Neppure il piombo è riuscito ad allentare la morsa del racket. Ucciso un esattore se ne presentava subito un altro. Assassinato pure questo, ecco farsi sotto un volto nuovo. Alla fine due imprenditori di Misilmeri hanno capito che l’unica strada percorribile era ed è quella della denuncia. Le indagini sul blitz antimafia, che nel marzo scorso ha colpito il clan del piccolo centro in provincia di Palermo, raccontano anche una storia di sopraffazione e riscatto.

La prima visita nell’impianto di calcestruzzo è datata 1995. Vent’anni fa “mi avvicina tale Angelo Bonanno – ha raccontato uno degli imprenditori – chiedendomi del denaro per i carcerati… gli consegnai circa 6 milioni di lire in prossimità delle feste natalizie. Due milioni di lire nel Natale 1995 o forse 1996, altri due nel Natale 1996 o 1997 e gli ultimi due nel Natale 1997 o 1998. Dopo quella data se non ricordo male Bonanno fu ammazzato”.

L’imprenditore ricorda benissimo. Era il 1999 quando Bonanno, considerato vicino al capomafia di Belmonte Mezzagno Benedetto Spera, cadeva sotto i colpi dei killer in una delle tante faide di mafia che hanno insanguinato quella fetta di provincia. Seguì un periodo di tranquillità. La mafia ci mise quattro anni per ricordarsi dell’imprenditore e del suo impianto di calcestruzzo: “… per qualche anno non venne nessuno a chiederci denaro a titolo estorsivo, poi intorno al 2003, sempre in prossimità delle feste natalizie, mi avvicinò Gaspare Zucchetto in mezzo alla strada, dicendomi che avrei dovuto pagare qualcosa per alcuni signori che avevano bisogno del denaro. Capì che si riferisse ai carcerati”.

Ci risiamo: “Da quel momento in poi, per circa 5 anni gli diedi in totale circa 20.000 euro. Successivamente tale personaggio fu ammazzato”. Era il 2009. Fino ad allora Zucchetto sembrava essere solo un dipendente del Coinres, il consorzio per la raccolta dei rifiuti. Poi, si capì che era il capomafia della zona e qualcuno lo aveva fatto fuori. Quella volta, però, il clan non perse tempo a rimpiazzare la vittima. “Qualche anno fa Zucchetto venne ucciso, tuttavia non avemmo qualche anno di tregua come avvenne dopo l’omicidio di Bonanno – ha aggiunto il socio dell’impianto -, infatti il Natale successivo dopo la morte di Zucchetto venne a chiedere il pagamento della tangente estorsiva tale Giuseppe Vasta. A questo soggetto abbiamo pagato due volte l’importo di euro 2.500 euro per un totale di euro 5.000. Se non ricordo male abbiamo pagato in prossimità delle feste natalizie del 2010 e del 2011”.

Gli anni più vicini ai nostri sono stati segnati dalla crisi e i due imprenditori hanno cercato di evitare la tassa di Cosa nostra: “Non gli abbiamo pagato nulla in quanto in condizioni economiche ormai disastrate”. Vasta, però, non si sarebbe perso d’animo. “Vedi che ti devo parlare …”, avrebbe detto ad una delle vittime. Non ha fatto in tempo ad incassare. I carabinieri lo hanno arrestato lo scorso marzo, affibbiandogli il ruolo di nuovo capomafia di Misilmeri. Un volto già noto alle cronache quello di Vasta, che nel 2006 aveva finito di scontare una condanna a sei anni e sei mesi per mafia. Chiunque prenderà il suo posto – la storia ci insegna che la mafia non smette di imporre la protezione sul territorio – si troverà di fronte l’unico vero ostacolo insormontabile: la denuncia degli imprenditori.


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