CATANIA. Il controllo del territorio, lo sanno bene le forze dell’ordine che operano con professionalità in una terra martoriata come la Sicilia, non è certo una passeggiata. Non lo è se sei un poliziotto, ma evidentemente non lo è neppure se sei un mafioso che per quel controllo, per di più, ti fai pagare la protezione dalle vittime: una tassa ignobile chiamata “pizzo”. E quando un farmacista vive in un paese pedemontano e da decenni paga Cosa Nostra – ma nonostante questo viene ripetutamente bersagliato dai delinquenti – comincia a porsi delle domande.
A raccontarlo è lui stesso, la vittima, alla polizia: “Anche se ero sotto estorsione e quindi sotto protezione ho subito in tutti questi anni ben 12 rapine fino a circa tre anni addietro. Mi sono lamentato con l’esattore facendogli presente che nonostante il pagamento dell’estorsione, continuavo a subire rapine. L’esattore mi diceva che erano soggetti che venivano da altre zone che non riuscivano a controllare e che, comunque, ci avrebbero pensato loro. Aggiungeva l’estortore che se lo avessi avuto di bisogno mi sarei potuto rivolgere a Mimmo”.
Mimmo, assieme a un certo “Pippo”, è uno degli indagati per l’estorsione al farmacista, una “rata” fissa che il clan di Lineri, la pericolosa cosca mafiosa collegata ai Santapaola-Ercolano sgominata la settimana scorsa dalla Squadra mobile con l’operazione “Sabbie Mobili”, pretende da decenni, tanto da essere iniziata in lire: 300 mila lire al mese, poi convertiti in euro e divenuti così, a un certo punto, poco più di 1.860 euro l’anno in due rate da 930. Sono decine le storie di mafia emerse dall’inchiesta Sabbie Mobili, tutte simili e tutte maturate nella profonda Sicilia, in un contesto dove boss ed esattori del pizzo si muovono come se fossero i padroni, si presentano alle vittime con spavalderia e pretendono il pagamento continuo di somme di denaro.
È come se il tempo si fosse fermato, a rileggere certe frasi, certe espressioni dialettali utilizzate dagli indagati nelle intercettazioni. Il tutto nel nome di un clan sopravvissuto alla perdita del suo vecchio boss – il cosiddetto “malpassotu” – divenuto poi pienamente operativo con i Santapaola, tanto da ottenere l’autorizzazione a coprire un raggio d’azione ampissimo, dal cuore di Catania a numerosi centri all’ombra dell’Etna. L’inchiesta della Polizia, coordinata dalla Dda di Catania, ha aperto uno squarcio in questo universo a tinte fosche, dove qualche luce all’orizzonte inizia a vedersi dallo spirito di collaborazione delle vittime. È il caso, per esempio, dello stesso farmacista in questione, che alla fine, dinanzi ai poliziotti, ha riconosciuto gli esattori del pizzo da due album fotografici. In questo modo Mimmo e Pippo sono stati individuati e sono finiti entrambi sotto inchiesta.