PALERMO – Da vittima della mafia a imprenditore “scelto” da Cosa nostra. Gli investigatori della Dia collocano nei primi anni Novanta il cambio di passo di Vincenzo Rappa, ai cui eredi la sezione misure di prevenzione ha sequestrato un patrimonio che vale 600 milioni di euro. “La costituzione delle numerose società riconducibili alla famiglia Rappa appare verosimilmente dettata dalle esigenze di immettere nei cicli produttivi leciti – scrive la Dia nella proposta di sequestro accolta dal Tribunale – capitali provenienti dalle attività illecite perpetrate dagli appartenenti al sodalizio criminale, al quale Rappa era partecipe”. Una partecipazione che, secondo gli investigatori della Direzione investigativa antimafia, troverebbe conferma “nella disponibilità con la quale le società del gruppo Rappa hanno ottenuto dal sistema creditizio bancario, ingenti somme di denaro. L’ammontare delle somma da restituire alle banche ammontava negli anni 2000/2001 a 240 miliardi di lire circa”.
Il punto di svolta investigativo si materializzerebbe nella compravendita di due immobili. Nei primi anni Novanta, nel corso di un’ispezione nell’allora Cassa rurale di Monreale saltarono fuori i contatti fra Rappa e Gaspare Gambino. L’ex presidente del Palermo calcio era tra i migliori clienti della banca monrealese. Ad un certo punto la mafia lo avrebbe tagliato fuori da alcuni affari, ritenendolo poco affidabile. “Assai anomala” viene ora definita la circostanza che in un momento storico in cui Gambino era in difficoltà economiche avesse costituito una società finanziaria. Si tratta della stessa finanziaria che nel dicembre 1992 erogò a Rappa un prestito di 300 milioni di lire. E così gli investigatori iniziarono a scavare scoprendo la “singolare” vendita alla Villa Heloise (società dei Rappa) da parte della Geico e della Floridia Residence, entrambe di Gambino, di due palazzi in via Di Blasi e via dei Cantieri. Questa la cronistoria: nel 1981 la Floridia prometteva e si obbligava a vendere al Cnr, il Centro nazionale per le ricerche, i tre edifici in costruzione in via dei Cantieri.. Il corrispettivo fu fissato in 18 miliardi di lire. Il Cnr ne pagò il 90 per cento, solo che il contratto definitivo non fu mai stipulato, tanto che ne vennero fuori dei contenziosi; nel 1991 la Floridia si impegnò a vendere il palazzo alla Villa Heloise che acquistò dal Cnr il preliminare di vendita per 19 miliardi e mezzo. Più lineare l’acquisto dei quattordici piani di via Di Blasi, ad angolo con il viale Regione Sicilia, comprato da Rappa per 13 miliardi e mezzo.
Secondo l’accusa, le operazioni, “alla luce delle dichiarazioni rese da Calogero Ganci e da altri collaboratori, inequivocabilmente sono riconducibili alla commistione tra potere economico e Cosa nostra”. Ganci tirava in ballo un altro gruppo di costruttori chiacchierati. “La Raf Ford è di proprietà di mio padre e di Salvatore Sbeglia. La quota di mio padre venne tratta dal provento della vendita di un immobile di Gaspare Gambino a tale Rappa, costruttore. Il Rappa corrispose 14 miliardi, di cui 11 e mezzo al Gambino e i restanti due miliardi e mezzo, quale compenso della mediazione, a mio padre Raffaele e a Sbeglia Salvatore. Si decise, dunque, di acquistare la concessionaria che già era stata di Rappa e che ci aveva proposto questo affare”. Poi, entra nel merito degli affari: “Nei primi anni novanta Sbeglia aveva numerosi cantieri ai quali noi Ganci avevamo contribuito con almeno quattro miliardi e mezzo. Nello stesso periodo Gambino, a seguito delle sue notorie vicissitudini giudiziarie e delle difficoltà in cui si era venuto a trovare con le banche, aveva necessità di vendere alcuni immobili, in particolare quello di via dei Cantieri e quello in via Di Blasi. Fu lo Sbeglia a suggerire a mio padre il nome di Rappa. Per quanto riguarda l’immobile di via dei cantieri il Rappa si mise completamente a disposizione di mio padre, richiedendogli di metterlo a posto con la famiglia dell’Acquasanta. Mi risulta che fu mio padre a trattare con il capo mandamento di Resuttana e cioè Salvino Madonia”.
L’acquisto dei due immobili rientrerebbe fra gli affari illeciti condotti da Rappa. Sarebbe uno dei passaggi che avrebbero portato nel 2000 il gruppo ad avere, come scrivono gli investigatori, un’esposizione debitoria nei confronti delle banche di 250 miliardi di lire. Che fine hanno fatto i soldi? “Il 30 dicembre 2007 la Sicilcassa – si legge ancora nel provvedimento del Tribunale – ha ceduto alla società Fin Med di Milano i crediti vantati nei confronti delle società”. La Fin. med è controllata dalla Med Group, altra società del gruppo, “che ha liberato da ogni vincolo ipotecario e di pretesa di terzi il consistente patrimonio immobiliare illecitamente costituito da Rappa Vincenzo immettendosi nella piena proprietà dello stesso”. Si tratta di uno dei passaggi finanziari su cui sono concentrati gli investigatori che scrivono: “Alla morte di Rappa il suo patrimonio è passato agli eredi, ma mentre Rappa era ancora in vita i nipoti Vincenzo Corrado e Gabriele, con articolate acquisizioni finanziarie hanno consolidato il controllo delle imprese”. E qui si innestano altri dubbi investigativi: “Le indagini patrimoniali evidenziano la mancata giustificazione lecita delle risorse economiche necessarie a finanziare sia le attività imprenditoriali facenti capo a Rappa Vincenzo, sia l’acquisizione delle quote sociali e le costituzioni delle compagini sociali formalmente intestate ai suoi stretti”. Gli agenti della Dia hanno comparato i redditi di Rappa e del suo nucleo familiare dal 1997 al 2008 e fanno rilevare un saldo negativo fra le operazioni patrimoniali in entrata e in uscita. E concludono che “c’è una sperequazione fra la capacità reddituale e l’incremento del patrimonio”.